Leggo la lettera di Piero Celli su Repubblica.it in una stanza d’albergo a New York. Lui invita suo figlio a lasciare l’Italia, se vuole trovare una collocazione adeguata ed un futuro migliore. Io mio figlio l’ho direttamente accompagnato qui negli Usa: domani inizia un corso alla NYFA, con sua grande gioia. Leggo le reazioni scandalizzate, accorate, sdegnate; l’ipocrisia nazionale in coro recita una delle sue più riuscite geremiadi: “Non si può mollare, bisogna combattere”.
Combattere. Dove? Come? Perché? Quali sono gli alleati e quali i nemici di questa guerra? Io e Federico abbiamo trascorso la nostra giornata qui, elencando – anche con divertimento – le differenze storiche, strutturali, irrimediabili tra questa e altre nazioni sviluppate, e la nostra. Niente di drammatico, intendiamoci. L’Italia ha compiuto il suo ciclo. Oggi il mondo gira altrove. Un ragazzo che voglia (e possa) vivere pienamente la sua vita nel mondo globale, ha il diritto-dovere di farlo. Se ne gioverà indirettamente anche il territorio in cui è nato, invece di continuare ad allevare giovani frustrati e avviliti.
Insomma, non facciamola così tragica. Che cosa hanno sempre fatto i giovani di Girifalco o di Gioiosa Etnea, se non cercare a Roma o a Milano il proprio futuro? Qualcuno pensa che trattenerli avrebbe fatto andare meglio avanti il mondo? Oggi succede lo stesso, non c’è niente di nuovo, salvo che la dimensione è quella globale, Si va via dalla propria terra di origine per crescere, per vivere meglio, per fare esperienze. Dovremmo esserne contenti, visto che viviamo in un mondo che ha ridotto le distanze fisiche e abolito quelle virtuali. Rimarrà sempre tempo a questi ragazzi per venire a trovare i vecchi genitori (i dinosauri de “La meglio gioventù”), e magari per migliorarli un po’.