Dunque: passate 48 ore, il dibattito postelettorale del Pd può dirsi concluso. Erano emerse due opzioni radicali: la linea Enrico Toti (il progetto Bersani resta in piedi: Orfini), e la linea Bagaglino (il documento dei 49 senatori). Poi gli outsider hanno mediato: non discutere il terzo segretario in 14 mesi (Letta); non escludo niente ma al momento giusto (Chiamparino); cercasi un Prodi disperatamente (vari). I big hanno duettato: bisogna accettare la sfida delle riforme, come dico io (D’Alema); bisogna accettare la sfida delle riforme, come dico io (Veltroni). E il segretario non ha avuto difficoltà a trovare la sintesi: il partito non ha perso e non ha vinto (Bersani).
Restano sullo sfondo dei rumori di sciabolette: Zingaretti e Renzi che, non avendo di meglio da fare, si beccano tra loro.
Io farei loro una modesta proposta (ma seria). Nel 1969 Forlani e De Mita si videro in un convegno a San Ginesio e fecero un bel patto per fare fuori i vecchi maggiorenti della Dc. Ora i due giovanotti mettano insieme altri ragazzi di belle speranze (Scalfarotto, Civati, Serracchiani, chi altri vogliono) che al momento si agitano in maniera scomposta, decidano insieme di cacciare quelli che comandano da venti anni, si impegnino a non litigare per un po’ di tempo, e poi aprano la partita della futura leadership. Prendersi a botte adesso, mentre i pachidermi continuano a discettare di rava e fava, è un po’ da coglioni.