Ma sì, spendiamo qualche parola per Fini, prima dello showdown di domani nella Direzione del Pdl. Gliene stanno dicendo di tutti i colori, da ogni parte. C’è chi – da dentro – gli dà del traditore, dell’ingrato, del venduto, fino ad arrivare alla tesi feltriana della psicolabilità. C’è chi – da fuori – lo scruta con commiserazione, come a dire ‘guarda in che guaio si è andato a ficcare, ha sbagliato tempi e modi, ne uscirà certamente con le ossa rotte’.
Proviamo a vedere la cosa da un altro punto di vista, che è poi quello che dovrebbe maggiormente interessare. Ma dov’è che le cose andrebbero approfondite e discusse, se non in quei luoghi chiamati partiti? Questo signore è ormai da qualche anno che va prendendo posizione sui temi più diversi (giustizia, immigrazione, diritti civili), sostenendo tesi che non coincidono con quelle dominanti nel suo partito. Che cosa dovrebbe fare? Tacere o andare via, è questa l’alternativa?
Io penso che dalla vicenda di questi giorni emerga un tema serio – quello della vita democratica interna ai partiti – che non può essere ridotto al presente e al futuro di Gianfranco Fini. I partiti italiani sono ormai dei simulacri, dei non-luoghi che servono solo a veicolare i finanziamenti pubblici e a parcheggiare qualche vecchio funzionario. Potrebbero e dovrebbero invece tornare ad essere moderni spazi di democrazia e di organizzazione del potere, come avviene in tutto il mondo. Organismi in cui le classi dirigenti, con certezza di regole, discutono posizioni e strategie, definiscono organigrammi, decidono leadership.