Beach Boys – “God only knows”
Vale la pena citare per intero Paul Mc Cartney: “”God only knows” è una delle poche canzoni che mi fanno piangere tutte le volte che la sento. In realtà è solamente una canzone d’amore, ma è fatta in maniera eccezionale. Mostra il genio di Brian Wilson. Una volta mi è capitato di eseguirla con lui e devo confessare che durante il sound-check sono scoppiato in lacrime. Già cantarla mi fa perdere la testa, figuriamoci cantarla al suo fianco”. Parole definitive, pronunciate qualche anno fa dal più grande songwriter del nostro tempo. Forse in ritardo, forse per sopire un po’ di senso di colpa.
Wilson c’era impazzito sui Beatles, scarafaggi osannati per avere cambiato la storia della musica pop, mentre lui veniva archiviato come capo di una banda di ragazzi da spiaggia, spensierati bamboccioni del surf. Con “Pet sounds”, album concettuoso e complesso del 1966, aveva voluto dimostrare la sua superiorità. Dentro c’era incastonato questo gioiello, fatto di accordi diminuiti che non si finisce mai di rimpiangere, uso sapiente dei bassi rivolti, cori polifonici: soluzioni armoniche sofisticate per realizzare il semplice risultato della bellezza.
In periferia, da questa parte dell’oceano, si sapeva poco dei tormenti di Wilson. La voglia di trasgressione si esauriva preferendo l’aggressiva “Let’s spend the night together” alla mielosa “Michelle“. Solo un anno dopo, con l’arrivo delle “buone vibrazioni“, si cominciò a capire che l’America non erano i pipponi di Bob Dylan o (dio scampi) di Joan Baez, specchietti per le allodole, buoni per cantare la litania dell'”altra America”, contrapposta ai cattivi, imperialisti e guerrafondai. La vera America erano loro, i BB. Vitalisti, solari, contraddittori, sempre in cerca di qualcosa.