L’errore di Berlusconi

Da 16 anni l’Italia ruota intorno a Berlusconi. Nel 1994 creò un partito in pochi mesi e vinse le elezioni. La sua maggioranza si ruppe, e fu cacciato due anni dopo. Pareva spacciato per sempre, ma nel 2001 rivinse, anche se in buona misura per il fallimento del centrosinistra. Fu di nuovo sconfitto nel 2006, avendo perso per strada altri pezzi di maggioranza. E’ tornato nel 2008, dopo il nuovo disastro del centrosinistra. E ora, passati due anni, siamo ad una nuova crisi, che tutti dipingono come particolarmente seria.

In 16 anni Berlusconi ha rotto con Bossi, Casini, Mastella, Follini, Fini e diversi altri. Potrebbe interessare poco, se non fosse che queste rotture hanno sempre determinato crisi politiche o istituzionali, cioè hanno concretamente danneggiato il Paese.

Da 16 anni Berlusconi sostiene di volere rivoltare l’Italia come un calzino. Meno tasse, meno burocrazia, liberalizzazioni, fine dell’oppressione giudiziaria, semplificazione del sistema politico. Nei suoi 8 anni di governo nulla di tutto questo è accaduto (neppure negli altri 8). Nessuna riforma degna di nota è stata realizzata (non annunciata, realizzata): neppure quelle che direttamente interessano Berlusconi. Adottando benchmarking internazionali, tutti gli indicatori ci dicono che l’Italia è meno ricca e funziona peggio di 16 anni fa.

Grosso modo – a meno di prossime svolte clamorose – possiamo già dire che, quando il ciclo di Berlusconi finirà (tra un mese, un anno o un decennio), l’Italia non sarà un paese nuovo, trasformato dalle fondamenta. Berlusconi entrerà nei libri di storia solo per avere occupato la scena per molto tempo, non per avere cambiato l’Italia. E di questo non siamo per nulla contenti, augurandoci – da cittadini – il bene di questo Paese, chiunque lo governi.

Il dramma è che Berlusconi continua ad avere teoricamente ragione, più o meno su tutto. Nel merito dei problemi, prende solitamente posizioni giuste (al netto di rozzezze, barzellette, sbotti narcisistici). Pensa sia da cambiare una Costituzione nata in un’altra era politica. Disegna un Paese fondato sul mercato e sulla competizione. Ha ragione sull’insopportabile e antidemocratico strapotere dei giudici. Ha ragione quando chiede più potere per chi governa. Così come è comprensibile che si infastidisca per il cosiddetto teatrino della politica, per i suoi tempi, le sue pratiche, i bizantinismi, i veti, i piccoli ricatti.

Ma, al di là del fastidio, Berlusconi può mettere in pratica le cose che pensa solo attraverso la politica. Non sono stati inventati altri modi, altre tecniche. D’altro canto, i suoi (non molti) successi pubblici li ha realizzati in questi anni solo quando (per usare l’espressione classica) ha “fatto politica”.

Per questo oggi sbaglia con Fini, come ha sbagliato in passato – pagando – con Bossi, Casini, ecc… Ma lo sbaglio, questa volta, è più serio. Perché, accettando la sfida di Fini, potrebbe (avrebbe potuto) fare un significativo passo avanti nel suo profilo di uomo pubblico, accreditandosi come il leader di un grande partito democratico moderno, funzionante con delle regole, una dialettica interna, e così via. Un partito, insomma, in grado di sopravvivergli. E quindi legittimando la forma storicamente riconosciuta più alta di organizzazione della politica. Invece, beandosi delle simpatiche cazzate sul partito a vocazione leaderistica e carismatica (purtroppo dette anche da uno che ha studiato, come Quagliariello), darà una mano a chi pensa che sia (stato) per l’Italia più un problema che una risorsa.