Conosco da 35 anni Piero Fassino e lo giudico una persona perbene, un lavoratore indefesso, un riformista che ha sempre affrontato e spesso risolto i problemi con sobrietà e pragmatismo. In poche parole, pur non conoscendo la realtà della città, penso che potrebbe essere un buon sindaco di Torino. Ma penso che sbagli a candidarsi. E temo che la sua avventura possa finire male. Non come Cofferati a Bologna, ma come Rutelli (nel 2008) a Roma.
Forse è il caso di dirlo una volta e per tutte, al di là di ogni considerazione sui singoli. Il punto è che la storia politica dei membri (tutti) del gruppo dirigente Pci-Pds-Ds-Pd è conclusa. Usciti indenni dal crollo del Muro – senza fare fino in fondo i conti con la propria storia, collettiva e individuale – hanno dato quello che potevano negli anni 90. Hanno affrontato la crisi di sistema di Tangentopoli, con poca lungimiranza e una buona dose di furbizia. Hanno sconfitto il primo, ingenuo Berlusconi inventandosi il Papa straniero che poteva legittimarli. Sono, da molti anni, magna pars della classe dirigente di un paese stanco e sgangherato: generalmente onesti, dotati di spirito di sacrificio e del rituale “senso dello Stato”, assolutamente a corto di idee nuove. Come la gran parte dei governanti dell’epoca in cui viviamo, ma con l’aggravante – per tutti loro – della mancanza di entusiasmo, di motivazioni, di slancio.
Sono fiaccati e pieni di polvere, questi vecchi leoni, ma non mollano. Non mollano perché sono ancora relativamente giovani per gli standard italiani: hanno tra i 60 e i 65 anni. Non mollano perché dietro di loro c’è il vuoto: la recente assemblea di Firenze ha mostrato la penuria di idee e la mancanza di coraggio dei rottamatori. Non mollano perché hanno allevato il popolo della sinistra a vivere nella sindrome del nemico: è la sopravvivenza di Berlusconi a garantire la loro.
Così si trascinano, cercando di ridare fiato alle proprie biografie, reinventandosi e scambiandosi ruoli. Per un po’ ha funzionato, il gioco dei quattro cantoni. A me una città, a te la segreteria del partito, a quell’altro la presidenza di una commissione parlamentare. Ma ora il balletto è diventato insostenibile e pericoloso: quando a decidere sono i cittadini, non le nomenclature, la probabilità che i nostri eroi vengano sonoramente bocciati dal popolo è assai alta.
È difficile pensare che Piero Fassino possa fare – come si dice – un passo indietro. Tra l’altro, pare che a Torino si candiderà con il beneplacito dell’attuale sindaco, anche lui rinnovatore a giorni alterni. E poi, diciamo la verità, fino a quando l’alternativa ai vecchi quadri di partito si cercherà nella cosiddetta società civile, i primi avranno (comprensibilmente) la meglio. Sarebbe il caso – e qui diciamo cose note – che una nuova classe dirigente, ambiziosa e determinata, nascesse all’interno dei partiti, attraverso una battaglia cruenta e senza esclusione di colpi. In assenza di vera e sana lotta politica, il primo dei vecchi satrapi che si farà da parte sarà ricordato come benemerito.