. Fo e Spinelli, Anpi e Libertà e Giustizia, micromeghe e valigie blu sperano nei venti caldi del Sud: in attesa di importare gioiosi sbarchi di fuggitivi, per ora si ispirano al glorioso modello delle piazze antiregime. Sognano Roma come Bengasi, Algeri, Tunisi: crescenti giornate di lotta (per ora l’8 e il 12 marzo, naturalmente il 6 aprile, poi si vedrà), mobilitazione permanente, l’obiettivo finale è cacciare il nostro dittatore. I più giovani andranno sotto Palazzo Chigi e Montecitorio “con sacchi a pelo, cartelli e social network”, dice la misurata Arianna Ciccone, mentre l’ayatollah Flores lancia un appello per una “legittima difesa repubblicana, proclamando il blocco sistematico del Parlamento con tutti i mezzi che la legge e i regolamenti mettono a disposizione, fino alle dimissioni di Berlusconi e conseguenti elezioni”: una specie di fatwa contro la democrazia.
Bersani assiste sornione: alza i toni contro il Rais de noantri, strizza un occhio ai mobilitati, con l’altro scorre i sondaggi, che per la prima volta lo danno competitivo contro il Cavaliere. Conviene prudenza, segretario. I sondaggi – è vero – dicono che l’Italia si sta rompendo i coglioni dell’ossessione berlusconiana a difesa di sé e dell’assenza di governo. Ma gli italiani non andranno in piazza con i sacchi a pelo, non pensano di vivere in un regime antidemocratico, hanno un presidente del Consiglio regolarmente eletto, dotato – fino a prova contraria – di maggioranza parlamentare. Se Bersani vuole che i suoi sondaggi crescano ancora, si dia un programma e dica con chi vuole governare: sarà premiato quando verrà il momento, non quando lo decide Flores. E lasci al loro destino i fomentatori e gli esaltati.
2. Detto senza acrimonia (lo so, ci ripetiamo): il Pd è fallito. Era stato pensato come progetto a vocazione maggioritaria, voleva superare le vecchie ideologie del Novecento e dare compiutezza al bipolarismo italiano. Non ci è riuscito (lo so, ci ripetiamo) per l’inconcludente leggerezza di Veltroni, che – nel 2008 – poteva andare al voto da solo, senza dare fiato e argomenti a Di Pietro: avrebbe perso dignitosamente, e oggi guiderebbe un’opposizione pronta a governare. Quel disegno è naufragato, e con esso il timido bipolarismo italiano, ormai ripudiato anche dal suo antico mentore Salvati. Anche se il Pd non è in grado – ufficialmente – di prenderne atto, avendo imbottito per quasi 20 anni la testa degli italiani con il magico mantra: contro il trasformismo, o di qua o di là, siamo o non siamo una democrazia matura?
Onore, quindi, al compagno Latorre, che prende il toro per le corna e annuncia la svolta che vorrebbe: visto che sta finendo il bipolarismo, facciamo un bel partito socialdemocratico con dentro Vendola in quota movimentista e fricchettona, che tagli con Di Pietro e i fondamentalisti, e molli al proprio destino centrista i residui cattolici del Pd. Sogna una specie di Pci del terzo millennio, Nicolino, pronto ad allearsi con Casini, leader della nuova Dc e snodo di ogni assetto futuro, rinunciando in partenza ad un qualsiasi discorso sulla modernizzazione dell’Italia.
Non è una prospettiva entusiasmante, innovativa, riformista? E chi se ne frega, pensa il nostro: l’importante è dare una direzione di marcia ad una barca che fa acqua, prima che affondi. Non avrà il voto mio e dei quattro gatti riformisti, ma il ragionamento di Latorre non è privo di un suo deprimente realismo.