Il governo Monti è finito

Penso che il governo Monti sia finito. Nel senso che potrà anche durare, magari fino alla conclusione della legislatura. Ma ha esaurito la sua spinta propulsiva, grazie alla quale – complice l’emergenza economica – ha potuto finora governare senza sostanziali ostacoli.

Non che in questi quattro mesi Monti abbia fatto cose clamorose, se si esclude forse l’ottima riforma delle pensioni, fatta passare nei giorni dell’impazzimento dello spread. Per il resto l’esecutivo ha prodotto buoni cambiamenti nei metodi di governo, molti annunci seguiti da molti passi indietro e diverse misure che verranno attuate negli anni a venire. Un bilancio nell’insieme discreto, che continua ad apparire lusinghiero per la ritrovata credibilità internazionale dell’Italia, dovuta innanzitutto alla destituzione dell’odiato e fallimentare Berlusconi.

Ma all’inizio il sistema (partiti, sindacati, corporazioni, media) ha dovuto subire il governo, e non poteva fare altrimenti: troppo forti i vincoli esterni (mercati, Europa) per reagire. Poi, passato lo spauracchio dello spread alle stelle, ha cominciato a mugugnare, a mediare, a rinviare e ostacolare. E a quel punto Monti è stato ingenuamente al gioco. Di fronte alle prime difficoltà, forte del credito internazionale e di buoni sondaggi, ha accentuato una politica di puro marketing, annunciando grandi svolte (che fanno notizia e rimbalzano all’estero e sui mercati), pronto a devitalizzarle dopo le scontate opposizioni, pur di portare a casa qualche risultato. Ritenendo che comunque un po’ tutti (tassisti, avvocati, ecc…) fossero fastidi di poco conto, di fronte all’obiettivo della ripartenza della macchina-Italia.

Una strategia debole e inefficace, oltre che ingenua. Perché ha dato tempo e modo al sistema di cogliere pericoli e potenzialità (anche politiche) dell’operazione Monti e di riorganizzarsi, sfruttando inciampi grandi e piccoli del governo e facendo progressivamente fronte comune. Con sapiente rapidità, il sistema, colluso e compromesso in ogni sua parte, ha chiuso ogni varco al cambiamento: al punto che ormai i giornali irridono ai tecnici e aspettano con ansia il ritorno della “politica”, i partiti difendono senza vergogna le corporazioni, e quelle minori santificano la più grande di tutte, il sindacato, di fronte alla sfida oltraggiosa che Fornero ha osato lanciare sull’articolo 18.

Ora, Monti può alzare la voce quanto vuole, dicendo che non intende “tirare a campare”. Ma, nel momento stesso in cui lo dice, ammette la conclusione di una fase di “governo governante” ed entra pienamente (e finanche simbolicamente, con la citazione di Andreotti) nell’agone della “politica politicante”. Ne uscirà comunque sconfitto, e l’Italia con lui.

p.s. … l’accordo di un’ora fa dei tre segretari sulla nuova legge elettorale conferma che la politica continuerà a tenere in vita il governo, ma che il bandolo della matassa torna nelle loro mani.