La decisione che solo i votanti al primo turno potranno votare al secondo – se sarà confermata – è il peggiore avvio di campagna che si possa immaginare. È un messaggio di ripiegamento, di mobilitazione delle appartenenze, di pura chiamata alle armi. Tutto il contrario di quello che si sostiene queste primarie debbano essere: una discussione sul governo del paese, non una conta interna.
Vi sono, innanzitutto, ovvie ragioni di principio per sostenere che uno può scegliere di votare al primo e/o al secondo turno, qualcun altro è influenzato la prima volta e sceglie di votare la volta successiva, o viceversa. Una volta deciso che l’elettore verrà registrato, non se ne possono limitare le opzioni: in qualunque momento avvenga, al primo o al secondo turno, diventerà endorser della causa democratica. Che è la cosa – pare – che sta più a cuore a chi ha promosso la consultazione.
Poi c’è una fondamentale ragione di sostanza. Di per sé, ogni elezione in due turni (interna a un partito, di coalizione o per il governo) prevede la scelta del second best. Al primo turno c’è il più classico dei voti di appartenenza: se poi il mio candidato non passa, la seconda volta voto colui che giudico il meno peggio. Perché? Perché così vuole la logica ferrea della selezione della rappresentanza. Man mano che avanza il processo, si restringono le scelte possibili. Ma non si restringono le platee che scelgono. Al contrario, se si vuole che la decisione finale sia la più condivisa, si fa in modo che la partecipazione sia la più larga possibile. Così avviene, sempre e dovunque.
Questo sul piano generale. Figuriamoci nel caso in questione. Il centrosinistra fa le primarie per stabilire chi dovrà giocarsi la partita per il governo. Al secondo turno delle primarie i due sfidanti (tutti e due, di chiunque si tratterà, siano pure Vendola e Tabacci!) hanno la straordinaria chance di parlare a tutto il paese per conquistarne le simpatie, vincere le primarie e partire in una favorevolissima pole position per vincere le elezioni. Invece che fanno? Si chiudono nella riserva dei propri territori, richiamano alle armi i sostenitori, stipulano accordi con gli apparati dei perdenti per guadagnarne i consensi. Vi pare una cosa logica?
E allora, siccome una logica nelle cose c’è (quasi) sempre, bisogna per forza pensare che dietro questa scelta – se si confermerà – ci sia ancora l’opprimente e gretta cultura politica (di una gran parte) della sinistra italiana. Quella per cui noi siamo quelli bravi, onesti, puri, civili. Siamo meglio degli altri e non vogliamo intrusioni nel nostro campo. Preferiamo essere in pochi e contarci invece di contaminarci con il mondo, invece di vedere le ragioni degli altri, contrastarle se ne siamo capaci, sennò assumerle e farle nostre. E invece di pensare sempre, ma proprio sempre, che chi non la pensa come noi è tendenzialmente un nemico, portatore di qualche complotto, traditore di (non si sa bene quali) principi e ideali. Invece di spalancare porte e finestre per fare entrare aria nuova.
Uno dice: come la fai pesante. Può darsi. Ma non mi spiegherei diversamente una decisione del genere. A meno che non si scenda su un terreno più prosaico e volgare, quello delle convenienze degli apparati e delle piccole e grandi nomenklature.