Ieri abbiamo appreso che, dopo aver cambiato in corsa le regole delle primarie, Bersani intende far rispettare le regole che presiedono alla ricandidatura dei parlamentari uscenti. C’è qualcosa che non quadra: tanto generoso da aprire la strada a chi (Renzi) vuole mandare a casa lui e i suoi colleghi, quanto inflessibile con i colleghi che Renzi vuole mandare a casa. Tranne che con sé medesimo. Si direbbe un disegno: la rottamazione mi fa schifo – così dice Bersani, non io – ma utilizzo il rottamatore per rottamare.
Già. Ma da quali quarti di nobiltà discende questa tua autorità? Dal fatto che sei l’unico del sinedrio che non ha compiuto le famose tre legislature? Via, ragazzi, se vogliamo essere solo un po’ onesti direi di eliminare dalla discussione questa favoletta. Le tre legislature sono solo il grimaldello per fare fuori una classe dirigente. Renzi lo sostiene con indiscutibile coerenza. E il discorso non lo poggia sull’articolo non so quale dello statuto Pd, ma su un ragionamento più generale: è finita la lunga stagione del centrosinistra che abbiamo conosciuto e della sua classe dirigente. Bisogna aprire un’altra stagione, con persone nuove, nuove idee e programmi. Può piacere oppure no, ma il discorso è questo.
Quale è invece il discorso di Bersani? Dalle radici bisogna costruire la pianta, ha detto a Bettola (poi abbiamo scoperto che è figlio di democristiani, come Renzi). Dobbiamo cambiare senza buttare a mare la nostra storia. Insomma rinnovamento nella continuità, per dirla con Togliatti. Rinnovamento per gli altri, continuità con me, che già fui potente Presidente della Regione Emilia-Romagna, ho fatto il ministro tutte le volte che il centrosinistra ha messo piede a palazzo Chigi (bene? benino, come tanti altri, come Veltroni, la Turco o D’Alema), sono stato incoronato segretario del partito da D’Alema e da tutti quelli che rottamerò, dopo averli ampiamente utilizzati.
Se non fosse che la parola non va usata in politica, direi che questo modo di pensare e di agire è immorale. Bersani ha condiviso tutte, dico tutte le responsabilità del gruppo dirigente della sinistra negli ultimi 30 anni. Vorrei che mi si citasse un solo momento in cui ha preso le distanze da qualcuno o da qualcosa, una sola volta in cui abbia detto: “Non sono d’accordo con questa scelta”. E ora, con furbizia meschina, si serve di Renzi e delle regolette statutarie per rifarsi una verginità?
Difenda i suoi, Bersani. Lo faccia con la rocciosa tenacia che ha mostrato non imponendo le dimissioni a Penati. Oppure dica apertamente che la sua classe dirigente se ne deve andare, ma apra una discussione politica vera nel partito, senza nascondersi dietro commi statutari. Altrimenti sono più che giustificati anche i patetici documenti dei 700 di Balaklava, che difendono D’Alema non comprendendo perché dovrebbe andare via. Nel discorso di Bersani non c’è il superamento di D’Alema, perché non c’è discorso politico. C’è solo il suo siluramento.
E allora, se così stanno le cose, il Primario – che li ha conosciuti tutti, e uno un po’ di più – dice: se si tratta di cambiare, tutti a casa, arrivi Renzi e ci faccia vedere di cosa è capace. Ma se si tratta di scegliere tra Bersani e D’Alema, non ci sono dubbi. Come si dice oggi, D’Alema tuttalavita.