Il peggio e il meglio della sinistra

E ora – ora che si va consumando il finto abbandono dei dioscuri che hanno fatto la storia politico-mediatica della sinistra negli ultimi 20 anni, ora che per Merlo D’Alema diventa l’albatros di Baudelaire e Veltroni torna ad essere il bravo ragazzo di sempre – ora la sinistra italiana può dare il peggio di sé. Esaltandosi nella bufera delle apparenze, mettendo in moto lo Sturm und Drang delle biografie, dei sogni e dei fallimenti, delle decapitazioni e dei drammi individuali. Sentimenti che sostituiscono la politica che manca e appassionano anche la gente, in fondo. Gente che ha i coglioni pieni, ma che al taglio di due punti dell’Irpef (che tanto mai arriverà) sostituisce la nuova messa in scena, e già la premia nei sondaggi, portando il Pd quasi al 30%.

Insomma, messo da parte l’orrido Cavaliere, la sinistra torna a fare la narrazione. Ed è contenta: l’importante è che le sue gazzette possano sfornare quintalate di aneddoti e il melodramma italiano trovi nuova linfa. Mentre va a farsi fottere la possibilità di una lettura equilibrata (mi viene da dire laica) di quanto sta accadendo.

Prendiamo la questione principale al momento sotto i riflettori: il destino dell’attuale classe dirigente del Pd. Il tema viene declinato banalmente in due modi: rinnovamento nella continuità è il mantra togliattiano di Bersani; rottamazione, come dire tutti a casa, quella di Renzi. Entrambe formulazioni, secondo me, ampiamente al di sotto delle necessità. Una (la rottamazione) per palese approssimazione e rozzezza. L’altra perché figlia altrettanto rozza di una sorta di filosofia della storia della bassa.

Ma nessuno azzarda una seria valutazione d’insieme (non voglio dire storica, per amor di Dio) di questa classe dirigente oggi in discussione. Ieri Mussi ha detto: “La nostra generazione ha dato. E ha fallito”. Questo, per esempio, non è vero. Invece, a mio avviso, la generazione di Bersani, D’Alema, Veltroni, Bassolino, Turco, etc… ha contribuito dignitosamente alla gestione del paese in anni molto difficili. E non era scontato che avvenisse, per un gruppo di provenienza e cultura comunista. Altrove, con la caduta del Muro, i comunisti post e para sono stati messi fuorilegge, in galera, emarginati dai consessi pubblici, ridotti a gruppuscoli insignificanti. In Italia sono arrivati al governo. Per il solido radicamento costruito nel paese da quella “giraffa” che era il Pci, ma anche per il mix di coraggio, spregiudicatezza e cinismo (tutte doti in politica, e lo dico davvero) di chi ha gestito il dopo ‘89, ribrandizzando il marchio e portando la sinistra al potere, sia pure tra molte ambiguità, contorcimenti ideologici, e con un’altalenante cultura di governo. Operazione resa ancora più complessa dalle condizioni di crisi crescente del paese.

Perché dire “la nostra generazione ha fallito”? La vostra (la nostra) generazione ha dato quello che poteva. Ha nuotato nell’eterna transizione del ventennio senza portare il paese “fuori dal guado”, ma garantendone almeno la tenuta dei bilanci. Ha contrastato un fenomeno politico inedito (B.), senza avere gli strumenti culturali per farlo, eppure con alterni successi. E se oggi la sinistra è ancora, di nuovo in condizione di vincere, è anche per merito vostro.

Una visione laica delle cose dovrebbe quindi semplicemente farvi dire: “Ok, abbiamo fatto il possibile. Ora siamo anche abbastanza stanchi. Ci mancano le idee e l’entusiasmo. Lasciamo la mano a chi verrà dopo di noi. Ma siamo moderatamente orgogliosi, quantomeno ci sentiamo di difendere quello che abbiamo fatto, nelle condizioni date”.