Quando, parlando delle elezioni siciliane, Bersani afferma: “Per noi sono risultati storici, dal dopoguerra ad oggi non siamo mai stati realmente competitivi”, esulta, come è evidente, da segretario del Pci (Partito Comunista Italiano): una gaffe minore ma sintomatica, riflesso pavloviano del suo unico universo di riferimento. Quando Renzi gli risponde con la pappardella: “La tradizione cattolico-democratica è linfa vitale per il Pd bla bla” usa cinicamente la gaffe di Bersani per raccattare qualche simpatia tra i vecchi notabili democristiani. Entrambi con la testa girata all’indietro: uno perché non può posizionarsela diversamente, l’altro per pure esigenze di marketing.
Quando devono parlare di alleanze, uno è necessitato ad arrampicarsi sugli specchi. Il redivivo Vendola gli sta appiccicato addosso, lui è pronto ad allearsi con Casini che però non vuole Vendola: una pantomima che continua da mesi tra allusioni, mezze frasi e balbettii, senza un solo straccio di chiarimento. L’altro evita gli specchi prima ancora di scalarli: qualunque accenno alla politica politicante può danneggiarlo, incrinando il suo profilo immacolato.
Per non parlare dell’ambiguità di entrambi su Monti. I due sanno che non ne potranno prescindere: così vogliono i mercati e l’Europa, e così sarà. Sperano che salga al Quirinale, ma – come sanno anche i bambini – la storia repubblicana non ha mai previsto un Presidente deciso a tavolino mesi prima. Sanno anche che una risata continentale accoglierebbe l’ipotesi di un Monti ministro al loro servizio. Così evitano il problema. “Andare oltre il governo Monti”, “Monti è una risorsa preziosa” sono le formule ipocrite che coprono il nulla.
Se poi, a proposito di nulla, uno volesse fare il mitologico confronto dei programmi – la parolina magica che editorialisti e popolo bue pronunciano ogni qualvolta non sanno che dire – si attrezzi a leggere quintalate di buoni propositi che, nell’una e nell’altra versione, non intercettano mai la realtà, né quello che hic et nunc andrebbe fatto per rimettere in piedi l’Italia. (Vedrete i salti mortali dei giornali, quando dovranno preparare i classici specchietti con i programmi contrapposti dei candidati…).
In sostanza – una volta eliminato dalla scena pubblica l’unico, vero e serio motivo di scontro, quello cosiddetto della rottamazione – al momento di queste primarie resta in piedi solo il non detto, il simbolico. Si sceglierà tra Bersani e Renzi sulla base di pulsioni, non di scelte razionali. A Bersani andrà il voto dei nostalgici, quelli che vogliono semplicemente vincere, dopo una vita di sconfitte accumulate cambiando maglia. A Renzi quello degli illusi, abbagliati dal grillismo democratico che incarna. Di Bersani si accontenteranno i menopeggisti, su Renzi cadranno gli eterni benaltristi: le due categorie in cui si divide da sempre un paese incapace di concepire e costruire il proprio futuro.
Per cortesia, inventatevi qualcosa, da qui al 25 novembre. Altrimenti anche il Primario andrà in pensione prima del previsto.