Scipione il Fiorentino

Ora che il giovanotto ha sbottato “non sto né con Vendola né con Casini”, le primarie escono dal “vuoto vacuo” (cit. Woody Allen) e la sinistra rimette in scena per la centesima volta il più classico, antico e sconclusionato dei suoi dibattiti: quello sulle alleanze.

Che fare? Allearci con i moderati o con i radicali? Su chi puntare? Di chi ci si può fidare? E da che parte tirerà la coperta del consenso? Resteremo scoperti a destra o a sinistra? Domande palesemente senza senso, che mettono solo – e tragicamente – in evidenza il vero, grande problema della sinistra italiana: quello della sua propria identità.

Non parlo dell’identità con quattro i maiuscole, per amor di Dio, tipo vogliamo più giustizia o più libertà, più eguaglianza o meno welfare. Tantomeno parlo dell’identità fatta di domande angosciose ed estreme, che-cosa-è-la-sinistra-anzi-che-cosa-è-di-sinistra-nell’epoca-della-globalizzazione per capirci. No, io parlo di un’identità più concreta, direi terra terra. Siamo qui, oggi, abbiamo un partito che è (in potenza, per lo sfascio degli altri, per qualche congiunzione astrale) un contenitore ampio, veniamo da un’esperienza di governo non brillante dei nostri avversari, ci sono le condizioni per vincere le elezioni. Quindi, proviamo a dire e fare le cose giuste. Presentiamoci convinti della nostra centralità. Chiediamo agli italiani di votare noi, non noi con l’aggiunta (decisiva, a quel punto) di qualcun altro. Puntiamo a vincere. E proviamo a governare. Ecco, parlo di un’identità così. Con la i minuscola, se vi piace dire così (per me, individualista fottuto, è moltissimo, quasi troppo). Impossibile lavorarci?

Tentò di fare una cosa del genere – absit iniuria verbis – il signor Walter Veltroni nel 2008. Non ci riuscì per tre ragioni: 1) perché si veniva da due anni di disastroso governo del centrosinistra; 2) perché partì volendo fare il partito a vocazione maggioritaria, e finì per allearsi con Di Pietro, con i radicali sottobanco, e così via, insomma dando messaggi deboli e contraddittori; 3) perché si chiamava Walter Veltroni, uno strutturalmente non all’altezza delle sue stesse idee e comunque figlio di una storia vecchia e già usurata.

Ciò nonostante Walterino ottenne, in quelle condizioni disperate, un risultato di tutto rispetto per il suo partito. E, se non avesse fatto l’errore dell’alleanza con Di Pietro, consegnandogli dopo il voto la leadership dell’opposizione, e non avesse manifestato la sua nota codardia dimettendosi, oggi sarebbe in sella e si ricandiderebbe con buone possibilità alla premiership (voi dite meno male che questa sciagura ce la siamo evitata, ma questo è un altro discorso).

Oggi il giovanotto fiorentino pare voler tentare una strada simile. Lui si tocchi le parti basse per il parallelo. Tutti voi sappiate che è l’unica strada possibile per dare un’identità ad un partito che si definisce ormai solo per negazioni, per rialzare la schiena evitando lagnose e melodrammatiche discussioni su radici e tradimenti, e provare ad andare veramente al governo la primavera prossima.