Festa di compleanno con comunisti. (Capiamoci: comunisti in quanto provenienti, in grandissima parte, dalla storia del Pci, salvo qualche democristiano spiaggiato nel Pd e sparuti, ignari giovani nati alla fine del secolo breve).
Sono stati parte essenziale della mia vita, gli voglio bene, li scruto con affetto, e li vedo generalmente ben sopravvissuti alla mezza età. In gran parte insegnanti, ex funzionari di partito, amministratori, parlamentari, hanno imparato a vestire (eleganza fin troppo misurata, le donne si nascondono nel fastidioso nero di ordinanza), esibiscono rughe con una certa noncuranza, portano accettabili pancette. Poi accademici di fascia b, avvocati, commercialisti. Un po’ di società politica allargata, con occhi interroganti: ma questi stanno tornando al potere o lo stanno perdendo definitivamente?
Sono, ovviamente, tutti schierati. In gran maggioranza i bersaniani, che argomentano con razionalità. Ottimisti: “Al premio non si arriva anche se lo mettono al 40%, ma basta il bonus al primo partito per fare fuori Vendola, che va sotto soglia, e accordarsi poi con Casini”. Cinici: “Teniamoci il Porcellum, in fondo ci dà più garanzie”. Preoccupati: “Torno dal coordinamento. Bei discorsi, ma nessuno prende impegni operativi”. Alle strette, appaiono smarriti, vagamente impauriti: “Si vincono le primarie, si possono perdere le elezioni”; “Nel migliore dei casi, siamo all’ultimo giro”; “Che accadrà? Mah, non si capisce niente”.
I renziani – pochi – si aggirano per la sala con spavalderia, e ripetono il loro mantra: “Non c’è storia, abbiamo già vinto”. “Ma in che senso? Perché li avete costretti a rottamare?”. “Che hai capito? Vinciamo nel senso che il 25 novembre li stracciamo…”. Hai voglia ad obiettare, a ricordare i sondaggi e le regole complicate. Loro non rispondono, non argomentano, ti guardano con aria pietosa. Un po’ ammiccano, come a dire lasciaci lavorare ragazzo. Non capisco se è paraculaggine o incoscienza.
Nella discoteca che più tardi ospiterà (immagino, in realtà non so come funziona) folla di corpi sudati e suoni che impediscono parole, ci sono stasera due mondi lontanissimi, che non si toccano ma convivono tranquillamente. Mi viene da pensare alle differenze con il 1989, quando il mondo dei comunisti cadde dall’albero delle ideologie e si spaccò come una mela, con atroci sofferenze: famiglie divise, amicizie rotte, dibattiti eterni. Ora ci si bacia e ci si sfotte con allegria stanca, e si aspetta il verdetto prossimo senza angoscia né fretta. Nessuno sa cosa succederà il giorno dopo le primarie. Per molti dei presenti, l’esito non sarà ininfluente, potrà incidere sulle carriere. Ma lo scontro no, nessuno lo vuole, ha il sapore del già visto. E poi, come diceva il vecchio? La storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda…
La notizia invece è un’altra, mette d’accordo quasi tutti, ed è il rovesciamento del classico luogo comune giornalistico. Se vincerà Renzi, il partito rimarrà grosso modo unito. Andrà via qualcuno, i più cercheranno di sopravvivere alla furia rottamatrice e contratteranno qualche posto. Se vincerà Bersani, il giorno dopo Renzi tornerà a Firenze, organizzerà le sue truppe e farà un partito nuovo. L’esatto contrario di quello che sostengono gazzette, analisti e bottegologi (mo’ come si dice? Nazarenologi?).
E questa, amici miei, è la cronaca fedele di una serata all’epoca delle primarie. Dove, comunque, abbiamo mangiato e bevuto in abbondanza, e con la mia vecchia famiglia mi sono fatto un sacco di risate.
PS. Alle 23.30, all’uscita, transenne su via Posillipo: tatuati e tatuate premono per entrare in discoteca. “Oh, ci sta pure una festa politica”. “Che ce ne fotte, nuie vutamme tutte quante a Grillo”.