Come testimonia il logo della rubrica, il Primario è acciaccato. Non perché non si aspettasse la sconfitta del suo endorsato, e neppure per le proporzioni della medesima (cospicue, diciamo la verità). E’ che i consigli puntualmente forniti (non richiesti, sia chiaro) sono stati tutti disattesi, e questo non fa mai piacere: non solo ad un Primario, ma neppure ad un portantino. Con l’aggravante che nel suo discorso più bello – quello successivo alla sconfitta – il giovanotto di Firenze li ha elencati tutti, ma proprio tutti, gli errori commessi: dall’eccesso di sgraziata improntitudine (“sono apparso come un ragazzetto ambizioso”) al tira e molla sulle regole (“è stato inutile parlarne”), passando per le approssimazioni programmatiche e alcuni scivoloni comunicativi. Per cui, ascoltandolo domenica sera, insieme ad un piccolo gruppo di amici scelti – e di fronte ad un superbo risotto con provola e radicchio – non abbiamo potuto fare a meno di dirci: “Certo, questo è proprio bravo. Ma non poteva pensarci per tempo ed evitare queste cazzate?” (Al Primario, memore di autocritiche tardive e sofferte, è apparsa quasi una presa per il culo. Ma non l’ha detto, il consesso non lo consentiva).
Perché non le ha evitate, queste cazzate? Cerco di spiegarmi, seguitemi. Detto in soldoni, Renzi ha tentato l’ennesima, approssimativa e frettolosa operazione di riforma “dall’alto” del sistema. E’ dai primi anni ‘80 che, periodicamente, c’è chi tenta di “cambiare l’Italia” dall’alto, non vi scandalizzino i nomi. Cominciò De Mita, e nel 1983 portò la Dc ad un disastro elettorale. Tentò Craxi con maggiore piglio, e fu spedito ad Hammamet, senza mai superare la fatidica soglia del 15%. Nel suo piccolo, l’immaginò anche D’Alema un cambiamento dall’alto, e tornò a casa dopo 18 mesi. Va da sé, poi, che l’opzione più strutturata l’ha concepita il Cavaliere, che immaginava di stravolgere il sistema dall’alto, sfruttando una massiccia investitura popolare: quello che i suoi avversari hanno sempre, sprezzantemente, definito il suo “populismo”. (Un’altra volta, o magari mai, parleremo del perché non gli è riuscita l’operazione).
Ora, Matteo Renzi, più o meno consapevolmente, si è mosso in questa scia (anche se non gli farà piacere sentirselo dire, visto che è la scia degli uomini più odiati dell’ultimo trentennio). Portandosi dietro il fardello della sua gioventù, colpa che non si perdona nel paese più vecchio d’Europa. Con pochissimo tempo a disposizione, per cui ha dovuto tentare un’impossibile blitzkrieg. E, soprattutto, in un momento nel quale nessuno ha voglia di cambiare alcunché.
Non che ci siano grandi differenze con il passato, intendiamoci. L’Italia non ha mai avuto voglia di cambiare (dico proprio gli italiani in carne ed ossa: quelli che non pagano le tasse e quelli andati in pensione a 45 anni, e su quale categoria sia meglio stendo un velo pietoso). Ma figuriamoci oggi, con la crisi e tutto il resto. E figuriamoci che intenzione di cambiare poteva avere una sinistra, che – come fa sempre con maestria – si è addirittura inventata che veniamo da 20 anni di liberismo (ma in che cosa consiste, quando è arrivato, come e dove si manifesta?), e quindi ora bisogna solo tutelare, proteggere, difendere, conservare. Usato sicuro, altro che Adesso!: lo slogan perfetto per un popolo incerto, sfiancato, preoccupato.
In questo quadro, Renzi ha perso bene, perché raccattare il 40% in una competizione del genere – con una constituency tanto lontana da sé – è un bel risultato. Ma ora deve fermarsi. Perché questo 40% è luccicante come i vetrini di un caleidoscopio. Deve riflettere, per trasformare le aspirazioni in idee nuove. Andare alla ricerca con pazienza di una nuova classe dirigente, che ora non c’è. Deve costruire, lavorare dal basso per fare la rivoluzione quando il tempo verrà. (E verrà, verrà presto, perché l’usato sarà pure sicuro, ma più di tot chilometri non li fa).
Per questo, la conclusione dell’ultimo pippone del Primario è che ora il giovanotto di Firenze deve darsi tempo, e i suoi seguaci con lui. Non è vero – come dice qualche amico nostro – che, se non si sbriga, Matteo Renzi sarà dimenticato. Non lo sarà se da oggi costruirà solidità, se si incardinerà nella società italiana reale, quella che non piace ai vecchi giacobini che in fondo siamo, ma che non dovrebbero mai dimenticare una grande pagina di storia scritta un paio di secoli fa, e che vi allego. Fatene tesoro.