Il Papa e i media

Quindi abbiamo un Papa che parla con il mondo, non con i media: questa è la notizia. Ma Accattoli sbaglia a preoccuparsi. Se ognuno imparasse davvero a fare il suo mestiere, tutto potrebbe funzionare meglio.

Se Francesco – poniamo – avesse risposto in aereo ai giornalisti sullo Ior e sulla “lobby gay”, avrebbe scatenato – come lo stesso Accattoli ammette –  “la polarizzazione che è in agguato e che fino a oggi è riuscito a tenere bassa proprio con la disciplina della riservatezza”. Traduciamo: avrebbe reso più difficile la soluzione di due dei più complessi problemi di governance che al momento ha di fronte.  Avrebbe “comunicato con i media secondo le regole dell’informazione di massa”, e avrebbe aumentato il caos in casa sua.

Invece Francesco dice: ““Davvero io non do interviste, ma perché non so, non posso, è così… per me è un poco faticoso”, e si ritira con la sua borsa a studiare dossier e limare discorsi. Poi scende dall’aereo e va a fare il suo lavoro, parlando a milionate di persone, cambiando concretamente abitudini e regole ossificate, lanciando messaggi inequivoci e netti al suo popolo.

Meglio o peggio per i media? Certo, peggio per chi ritiene che fare giornalismo significa raccogliere indiscrezioni e gossip, fare cartello con i colleghi passando la dichiarazione di giornata, in sostanza avendo qualcuno (il Papa, nella fattispecie) che il lavoro lo fa per te. Chi la pensa così, probabilmente con Francesco dovrà lasciare il prestigioso mestiere di “vaticanista”. Meglio per chi pensa che il giornalismo sia la faticosa costruzione e ricostruzione di avvenimenti, fatta in rigorosa autonomia, attraverso la raccolta di documentazioni, le migliori fonti di indagine, e tutte quelle belle cose che si dicono nelle scuole di giornalismo. Così concepito, il mestiere di giornalista torna ad essere la più affascinante delle missioni, e può tornare ad avere mercato. Perché Dio sa (è il caso di usare l’espressione) quanto bisogno ci sia di informazione chiara su Ior e dintorni, tanto per restare sul tema.

Ma vogliamo per un attimo (scusate, mi viene da ridere) provare a mettere le parole di Francesco in bocca ad un politico italiano? Che so io, Brunetta, Finocchiaro, Cicchitto, Puppato? “Davvero io non do interviste, ma perché non so, non posso, è così… per me è un poco faticoso”, e di corsa verso una riunione di commissione, un approfondimento su come far quadrare i conti e abbassare le tasse, ma anche – perché no – una bella riunione di partito per “progettare il futuro”, direbbe Cuperlo?

Ecco, noi non ce li vediamo i nostri politici in questa parte. Come racconta genialmente Fabrizio Roncone, c’è sempre un Civati che “passeggia in Transatlantico con sguardo torvo, come tormentato da riflessioni profonde”, pronto con la sua battutina di giornata.

Il problema, però, è che c’è chi, senza alzare il culo dalla sedia, queste dichiarazioni le raccoglie e ci costruisce sopra quintalate di carta. Invece di costringere la politica, con argomenti solidi, ricerche, inchieste, a fare quello che dovrebbe: tentare – ho detto tentare – di risolvere qualche problema.

Insomma, Francesco – che di problemi ne ha tanti, e di diversa natura e altezza – mi pare che con quelle paroline buttate lì, in volo verso il Brasile, in realtà abbia detto una cosa molto antica, importante e terrena. Ognuno torni a fare bene il suo mestiere. Chissà, potrebbe funzionare.