Un vecchio diario (2)

Da giovedì 22 ottobre sono a palazzo Chigi, nell’ufficio più  grande. Me lo sono preso fottendolo a Minniti , anche se è  eccessivo e scomodo. Dovevo evitare che intorno a D’Alema circolasse troppa gente. Sabato e domenica sono a Klagenfurt con il presidente ed una corte di miracoli di diplomatici e cortigiani: gente inutile, a volte dannosa. Al ritorno, in aereo, facciamo il piano per la prima settimana. D’Alema sembra ben intenzionato: ha fatto bella figura al vertice, ora vuole darsi da fare. Naturalmente dovrà radicalmente cambiare il suo modo di lavorare. Ne sarà capace?

Vanno bene i primi giorni, anzi benissimo. Mettiamo su la struttura in tempi rapidi, con una certa efficienza, nel Palazzo dicono che funzioniamo. È importante diffondere questa impressione. Con D’Alema discutiamo spesso del metodo. Lui è pressato da tanti ed è tentato di rispondere alla vecchia maniera. Noi, io e Rossi in particolare, ma anche Nicola, cerchiamo di farlo resistere su una linea di innovazione. Bisogna resistere molto agli assalti di Bassolino, che vuole le deleghe per il Mezzogiorno. I problemi politici cominciano: Pinto è eletto al posto di uno dell’Udr alla commissione Giustizia del Senato. Di questi problemi si deve occupare Minniti. D’Alema, ci diciamo, deve svolgere la seguente mission: sulla base di un nuovo, moderno stile e metodo di governo, deve ricreare un rapporto forte con il paese e dare un posto dignitoso ali’Italia in Europa .

Comincia la routine, ed io entro in una fase blandamente creativa. Organizzo cose, tengo sotto D’Alema e gli altri, insomma si lavora. Faccio pace con la Melandri, e organizzo un vasto programma di iniziative che la comprendono. La prima uscita pubblica del presidente è tra i pensionati del centro anziani della Garbatella, mercoledì 4 novembre. Riprendiamo l’inglese, lo facciamo al piano di sopra, dove mangiamo non più la mela ma un pasto Messegué oriented. La crostata di martedì 3 è ottima, con visciole e mandorle. (2. continua)