Matteo, lascia in pace la toponomastica

Sogno un’Italia in cui tutte le strade si chiamino con un numero, come le streets di Manhattan. Perché dalle nostre parti riusciamo ad esibire la nostra vergognosa, tribale assenza di memoria condivisa anche attraverso la toponomastica, comportandoci come animali che pisciano per segnare il territorio.

Quando, per la prima volta, la sinistra vinse le elezioni a Napoli, il peraltro ottimo sindaco Maurizio Valenzi cambiò il nome dello storico e bel viale Elena in viale Gramsci. Io, giovane comunista, trovai la cosa orribile. Perché violentare così la storia di una città, di un territorio? Che diritto aveva un sindaco di imporre ad una strada una denominazione diversa da quella che aveva da più di un secolo? Non testimoniava di un’attitudine a imporre regimi più che a governare in democrazia? I miei dubbi non ottennero ovviamente udienza. (E comunque i napoletani, nella loro infinita saggezza, se ne fottettero: viale Gramsci è ancora oggi – per tutti – viale Elena, a dispetto della targa affissa sui muri).

Più tardi la moda esplose dappertutto, come sigillo del regime change nei comuni italiani. Fu semplice spartirsi circumvallazioni e 167 con le icone indiscusse di Aldo Moro e Enrico Berlinguer. Agli altri – laici, cattolici, qualche comunista, raramente i negletti socialisti – andavano tranquillamente le briciole. Mentre se qualcuno in un consiglio comunale tirava fuori i nomi di Giorgio Almirante o – dio non voglia – del cinghialone, scattava subito la contromobilitazione democratica, comprensiva di dichiarazioni dell’Anpi e raccolta di firme della società civile.

Recentemente grande fautore della toponomastica pret-à-porter – molto cinefila, un po’ bipartizan e sempre con lacrimuccia annessa – è stato Walter Veltroni, da sindaco di Roma. Ora sulla stessa via – è il caso di dire –  sembra mettersi Renzi. “Voglio cambiare i nomi a 100 strade, da via Tripoli a via Unione Sovietica. Chiederemo ai bambini delle scuole di votare i nuovi nomi. Penso a Don Puglisi o Enrico Berlinguer “, ha dichiarato con enfasi a Repubblica.

E’ un salto di qualità nell’assenza di rispetto per la storia dei politici italiani. Intanto perché Matteuccio vuole fare le cose in grande, marchiando la città di Dante e Machiavelli con un suo intero Pantheon: 100 in una volta. E poi perché, come un qualunque dittatorello centramericano, si propone addirittura di mobilitare l’innocenza dei bambini per l’efferato obiettivo. Brutta roba, davvero.

Ora, è noto che da queste parti a Renzi gli si vuole parecchio bene, per dirla in similfiorentino. Ma se le conseguenze della sua momentanea assenza dallo scenario nazionale sono le foto su ruspa con casco da demolitore o annunci demenziali come questo, beh, allora c’è da preoccuparsi. Vuoi vedere che stiamo allevando un altro sòla?