Un vecchio diario (16)

Situazione confusa. Nel fine settimana sono a Barcellona (città splendida. È vero, come dice Alberoni sul Corriere, che quando si torna in Italia si è sempre un po’ depressi al paragone). Al ritorno, Prodi è sempre più destinato alla Commissione e io non riesco a capire come si orienta l’opinione pubblica. Più Prodi o meno Prodi?  Si  candiderà  o no?  Il  gioco  di D’Alema è rischioso. In questo fine settimana abbiamo accusato un’altra sconfitta sulle banche. Dopo aver fatto un’alleanza con Cuccia (è un ottimo consigliere politico!  mi disse), le cose vanno in un’altra direzione e tutto è guidato da Agnelli. Prodi appare più riformista di noi. Perché esalta le cose che fa, le battaglie che conduce (esempio questa di Mediobanca), e nasconde bene le sue responsabilità, i rinvii, le concessioni a questo e a quello. Si muove bene sul terreno del potere. È molto conflittuale nell’ambito dei poteri dati. A differenza nostra, che annunciamo grandi battaglie per piegarci poi a quello che viene. La vicenda delle banche è veramente straordinaria da questo punto di vista. Noi siamo apparsi come i difensori della parte più vecchia e arretrata del capitalismo italiano.

Altro capitolo, Prodi in Europa. Ci conviene dargli questa patente? Non è una cosa che si rovescerà contro di noi? Martedì 23. La guerra è alle porte, e con la guerra la crisi di governo (insomma, il ritiro dei ministri comunisti). Prodi invia una lettera demenziale a D’Alema e gli dice che vuole un interim adesso, con la promessa dell’incarico per dopo le elezioni. Suggerisco a D’Alema di fare come se niente fosse domani al vertice. Successivamente sente Schroeder, che gli dice di non preoccuparsi più di tanto per domani (siparietto: S.: “Naturalmente se l’Italia si comporta  bene  sul primo punto, cioè agenda 2000, etc…” D.: “Quanto costa questo comportarsi bene?”  S.: “Siamo uomini  d’onore, non parliamo di soldi… “). Della lettera di Prodi non si sa più niente. Minniti sostiene, penso giustamente, che è frutto  della mente malata di Parisi.

La sera di martedì Solana annuncia l’offensiva in Bosnia. Alle 22.30 ho il telefonino spento, mi chiama Lorenza a casa, mi dice che D’Alema mi cerca. Lo chiamo, mi dice che Clinton telefonerà intorno alle 23, ma non si trova nessuno: scorta, Olivieri, Ingrao. Avvio la ricerca e faticosamente siamo tutti a Palazzo Chigi dopo un po’. Ne usciamo verso mezzanotte e trenta, dopo un colloquio con Clinton in cui D’Alema continua a mostrare i coglioni. La prossima volta, temo, sarà Clinton a romperseli. (16. continua)