Napoli: Fuga dalla realtà (2)

imgresStiamo parlando, per chi non lo conoscesse, di uno dei più imponenti palazzi d’Europa. Con una superficie di oltre 103mila metri quadri (un quinto dei volumi previsti dal progetto originario) e una facciata di quasi 400 metri, palazzo Fuga avrebbe dovuto accogliere, nella vaga utopia illuminista di Carlo di Borbone, poveri da tutto il regno. Un disegno fallito non solo per intrinseco velleitarismo, ma anche perché nel frattempo l’attenzione di Carlo si era rivolta alla reggia di Caserta. E i fondi per il palazzo vennero meno. Rimase così, dal 1820, un’opera incompleta, abbandonata, e poi adattata a mille usi (nell’illegalità più assoluta) dalla fantasia dei napoletani, nel disinteresse di tutti i governanti.

Tornò alla ribalta nel 1980, per i gravi danni (e alcuni morti) subiti con il terremoto. Infine, dopo un altro quindicennio di degrado, cominciarono ad occuparsene gli strateghi cittadini del bassolinismo (assessori, sovrintendenti, storici dell’arte, architetti, economisti, consulenti a vario titolo). Sempre senza che venisse fuori una sola idea solida sulla sua possibile destinazione d’uso. In compenso l’elenco delle pensate farlocche è sterminato.

Nel 1997 Bassolino chiede uno studio di fattibilità al centro studi di Paolo Leon. La proposta conclusiva è di farne un Museo del Mediterraneo (stabilendo a priori che avrà più visitatori del Museo nazionale), un Museo del territorio di Napoli, e un albergo della cultura (che cosa vuol dire?). Cesare De Seta distrugge (comprensibilmente) la proposta, incompatibile con le caratteristiche del manufatto. Il sovrintendente Spinosa rilancia: “Mettiamoci dentro i libri della Biblioteca nazionale, che stanno stretti a palazzo Reale. Oppure unifichiamo i vari musei dell’artigianato. E raduniamo nel Palazzo tutte le scuole d’arte e di artigianato sparse sul territorio”. Nel frattempo il ministro dei Beni culturali Veltroni, senza sapere cosa farci dentro, annuncia che il restauro di Palazzo Fuga si farà con gli introiti del gioco del lotto. Mentre la regione propone di trasferirvi i suoi uffici, ed un altro Sovrintendente, Zampino, vuole portarci dentro la Città del Libro (che non esiste né esisterà mai, Palazzo o non Palazzo).

Passano gli anni nel nulla. Nel 2007 Bassolino torna alla carica da presidente della regione. In cerca di soldi alla Merrill Lynch a Londra, annuncia: “E poi riqualificheremo l’Albergo dei Poveri, il più grande palazzo settecentesco d’Europa, 103 mila metri quadrati. Diventerà un polo universitario di ricerca e sperimentazione con la partecipazione dell’Università Federico II e dell’Istituto Orientale”. I banchieri gli fanno marameo, e Bassolino ripiega. Anche lui pensa di farne la sede della Regione. La Iervolino gli dice no. Non si mettono d’accordo perché Bassolino, mettendoci i soldi (dell’Europa) ne vuole la proprietà, e la Iervolino non gliela vuole concedere.

E fin qui parliamo ancora di discussioni astratte e oziose, ma su “grandi” progetti, per quanto velleitari, sbagliati, capotici. Con gli ultimi anni del regime basso-iervoliniano passiamo invece alle barzellette. Assessori, fantasisti e giocolieri vari propongono che l’Albergo dei Poveri diventi Palazzo delle Arti e della Musica, oppure, a piacere, incubatore per piccole e medie imprese, sede di attività commerciali, luogo per esposizione e mostre temporanee e permanenti, centro di altissima formazione. Fino alla proposta dadaista di farne una scuola di cucina (vero, è tutto documentato). E sempre con il marchio di “Spazio culturale multifunzionale” (la più pura delle espressioni pornografiche dei nostri tempi). Mentre dentro l’edificio – all’insegna del pragmatismo – si svolgono addestramenti di cani per corse clandestine, nasce una palestra, si sviluppa un’imponente fabbrica del falso, si rubano suppellettili e attrezzature varie, si installa un consistente nucleo di senzatetto.

Il regime arancione si mette in scia, e la creatività impazza. “Mettiamoci i volumi della biblioteca dell’Istituto degli Studi Filosofici”, dice il sindaco. “Aggiungiamoci la biblioteca di studi sulla Resistenza, quella sulla storia patria, e trasferiamoci pure l’Emeroteca Tucci. Insomma creiamo un Polo (ahia, che dolore) a disposizione etc…”, dice un consigliere comunale. “Facciamone un centro di accoglienza diurna, laboratori, uno spazio dove poter mangiare un pasto caldo, ma anche una struttura residenziale in cui poter dormire e proteggersi dal freddo, moduli abitativi per gruppi che vogliano iniziare un cammino condiviso per uscire dalla loro condizione e inserirsi nel mondo del lavoro”, è il progetto avveniristico, postmoderno dell’ex-assessore al Welfare D’Angelo. Aggiunge il nuovo assessore Piscopo: “Per Palazzo Fuga c’è un progetto ambizioso, molti attori sono interessati, ma la mole dell’edificio rende complessa l’attuazione. Il Comune è orientato verso il social housing e il Terzo settore. Entro un mese indiremo una manifestazione di interesse”. Così arriviamo alla delibera dell’altro giorno: “La Giunta comunale di Napoli, su proposta degli assessori Roberta Gaeta e Carmine Piscopo, ha approvato la perizia di variante suppletiva per i lavori di consolidamento e di riconfigurazione architettonica del Real Albergo dei Poveri.  Alla base delle motivazioni della delibera… la volontà dell’amministrazione di destinare gli spazi in esame a finalità sociali, di assistenza e di accoglienza dei senza fissa dimora”.

Se avessimo voglia di ridere, potremmo dire che si torna alle origini. Si torna a Carlo III.

Ecco, spero di avere chiarito le ragioni della mia indignazione. Nella sostanza, penso che Palazzo Fuga sia – in assoluto, alla pari o più di Bagnoli – la più evidente e penosa testimonianza del fallimento di un’intera classe dirigente politica, amministrativa, tecnica, intellettuale.

E non abbiamo parlato ancora di soldi. Magari ne parliamo domani. Mo’ vado a farmi un bagno (2. continua).