Napoli: Fuga dalla realtà (3)

imgresQuale debba essere il destino di un’area, un monumento, un palazzo, una preesistenza importante – diciamo – di una città, è questione legata a due fattori fondamentali: all’idea di città che hai (tu amministratore, intendo) e alle risorse a disposizione. Le questioni non sono scindibili.

Perché puoi immaginare di utilizzare Palazzo Fuga (oppure, parlando di Napoli, altre mille importanti preesistenze) per funzioni diverse, e anche ragionevoli. Ma prima di tutto devi fare i conti con i soldi necessari per rendere il bene funzionale all’obiettivo che ti sei dato, e devi pensare al dopo. Come si gestirà quel bene? Con quali soldi? Per quanto tempo? Mentre si appronta un piano per il restauro del bene, parallelamente qualcuno sta pensando ad un business plan per il suo utilizzo a regime? Anche affinché – almeno in una certa misura – il bene produca soldi, oltre che divorarne?

Nell’anno che trascorsi da assessore in regione Campania, visitai un giorno la reggia del Quisisana di Castellammare, un bellissimo palazzo i cui lavori di restauro erano quasi ultimati. Chiesi al sindaco: “Qui cosa ci verrà dopo?”. Il buon Salvatore Vozza mi disse che erano ancora in discussione diverse ipotesi: una scuola superiore del restauro, un museo… . La mia domanda successiva fu: “Scusa, ma il progetto del restauro non deve essere legato all’uso che si farà del bene?”. “Certo, è da anni che lo chiediamo al Ministero, alla Regione, ma non si decidono. Nel frattempo che facciamo, interrompiamo i lavori, così i soldi non arrivano più?”.

A Palazzo Fuga è accaduto e accade lo stesso da un quindicennio. Sul “Real Albergo dei Poveri” sono piovuti finanziamenti nella programmazione regionale dei Fondi europei 2000-2006. Nel successivo ciclo 2007-2013, “il recupero e il riuso del Real Albergo dei Poveri” ha affiancato la “riqualificazione e riconversione dell’area ex-Italsider di Bagnoli (toh, guarda un po’…), ricevendo una dotazione finanziaria complessiva di 1.505.000.000 euro (un miliardo e cinquecentocinque milioni), e diventando addirittura un “Grande Progetto” regionale (almeno fino al luglio 2011, quando è stato misteriosamente declassato). Sempre senza che nessuno individuasse il destino del Palazzo.

Men che meno ce lo dice la penosa delibera comunale di qualche giorno fa. “Consolidamento e risanamento statico”, “puntellamento precauzionale”, sono le espressioni-chiave. Palazzo Fuga se ne cade a pezzi, bisogna intervenire sull’emergenza: questa è la sostanza, condita con una frasetta demagogica sulla “volontà dell’amministrazione di destinare gli spazi in esame a finalità sociali, di assistenza e di accoglienza dei senza fissa dimora”.

E allora. E’ scandaloso che – in 20 anni – una classe dirigente di incapaci non sia stata in grado di indicare un destino per un bene di tale rilevanza. Ma è doppiamente scandaloso che, in fondo, nessuno se ne freghi. Tanto i soldi arrivano e in qualche modo vanno impiegati, in una specie di interpretazione grottesca e provinciale del vecchio adagio keynesiano (“Nei periodi di crisi, lo stato dovrebbe pagare i lavoratori per scavare una gigantesca buca e poi riempirla. Così i lavoratori avrebbero un salario e potrebbero spendere”). Questo, solo questo hanno dimostrato di saper fare i nostri governanti. Di ieri e di oggi.

Mi si chiede cosa farei io di Palazzo Fuga. Rispondo semplicemente. In omaggio ai principi di cui sopra, nelle condizioni date, e con un pizzico di buonsenso. Ne farei il palazzo delle istituzioni. Concentrando uffici e funzioni direzionali pubblici in una zona facilmente accessibile (Tangenziale, svincoli autostradali) dall’intera regione. Risparmiando un sacco di soldi che attualmente le istituzioni pagano in affitti, e che potrebbero essere liberati per usi civili, sociali, culturali. In questo modo dando al palazzo una funzione almeno parzialmente produttiva. Mi sembrerebbe oggi la soluzione più realistica e accettabile per questa infinita, orribile telenovela napoletana. (3. Fine)