I sette samurai del Pd

imgresSe volete capire cosa succede dentro il Pd (non che sia cruciale per le sorti dell’umanità, ma pare che amici e nemici politici, analisti e media non pensino ad altro), non avete da rivolgervi a bravi bottegologi, ai Cerasa, alle Meli e ai Damilano. Basta che scorriate il prossimo programma della festa dell’Unità democratica di Genova, e troverete risposte ad ogni interrogativo.

Non a quelli politici, naturalmente. Caro Pd, taglierai l’Imu o l’Irpef? Sceglierai il sistema francese, il tedesco, l’australiano? Governerai con Berlusconi o con Grillo? Di tutto questo non saprete niente, siatene certi.

Ma il calendario della Festa vi dice tutto di equilibri interni, assetti di governance, leadership reali, virtuali, annunciate, finite, perenni.

I momenti più solenni dei riti lefebvriani della Festa sono, da qualche anno, le interviste ai leader. Una volta c’era solo il comizio finale del capo. Poi, con l’esaurirsi delle leadership vere, la crescita di consorterie e cacicchi vari (e – va detto – l’impigrimento e l’invecchiamento delle masse), l’oceanica manifestazione finale si è trasformata nella finta intervista di un finto giornalista al finto segretario di turno, mentre gli omaggi ai tanti cari leader – sempre in forma di finte interviste di finti giornalisti –  vengono spalmati lungo l’intera Festa, con sapienza sopraffina, da consumati eredi del mai dimenticato Massimiliano Cencelli.

Certo, nell’anno del congresso sì/forse/no era particolarmente difficile distribuire le presenze. Dove mettiamo ministri e sottosegretari? E i candidati segretari? E i sindaci? E i capicorrente? Oddio, abbiamo dimenticato Cuperlo. Che fine deve fare Pittella? E Civati, dove piazziamo Civati? Don’t worry, ci sono, ci sono tutti, anche se confinati in dibattiti a due, a tre, a quattro, a cinque. Come a dire, vieni a raccontarci la tua, ma confuso ad altri: dirigenti di altri partiti, tecnici, esperti, sfigati di vario genere. Non proverai l’ebbrezza della conclusione, del pistolotto finale con tanto di applauso. Insomma, la presenza è garantita, ma nulla di più.

Lo statuto speciale della finta intervista invece è garantita a 7/leader/7: Presidente del Consiglio (Letta), segretario (Epifani), ex-segretario (Bersani), vice di tutte le stagioni (Franceschini), rottamatore (Renzi) e rottamati (D’Alema, Veltroni). E’ questo l’empireo vero, altro che comitati nazionali, direzioni, segreterie. L’eterno caminetto intorno al quale siedono i sette samurai, quelli che salveranno il povero villaggio del Pd dai predoni affamati. Eccoli, i titoli di testa del capolavoro di Kurosawa in versione Pd, e ditemi se l’associazione non funziona.

Venerdì 30 l’istituzionale Orfeo intervista l’istituzionale Enrico Letta (Kyūzō, abilissimo spadaccino, capace di cambiare idea, ascetico, serio, di cui Katsushirō vorrebbe imitare le gesta). Domenica 1 l’irrequieto Mentana intervista l’irrequieto Matteo Renzi (Katsushirō Okamoto, giovane, inesperto, discepolo di Kambei). Lunedì 2 il passepartout Telese intervista il passepartout Franceschini (Gorōbei Katayama, il vice specializzato nei piani di difesa). Martedì 3 il comunista Serra intervista il comunista Bersani (Kikuchiyo, figlio di contadini che si spaccia per samurai). Mercoledì 4 il buonista Vianello intervista il buonista Veltroni (Heihachi Hayashida, quello simpatico, che tiene alto il morale). Venerdì 6 la sprezzante Berlinguer intervista lo sprezzante D’Alema (Kambei Shimada, esperto e disilluso stratega). Infine, sabato 7 la sinistra Annunziata intervista il sinistro Epifani (Shichirōji, luogotenente che aveva deposto la spada, tornato per caso a combattere).

Sì, non tutto fila, lo ammetto. Katsushirō/Renzi discepolo di Kambei/D’Alema proprio non ce lo vedo (anche se…).  Immaginare Heihachi/Veltroni come quello simpatico, è – come dire – una forzatura. Associare Kikuchiyo/Bersani al volto magnetico di Toshirō Mifune è una specie di bestemmia. E così via. Ma il gioco può starci. Direte che manca il deus-ex-machina, quello che dà vita ai personaggi, insomma manca il genio di Akira Kurosawa. Però su un alto Colle romano c’è un anziano signore che ama molto il cinema. E – proprio come fece Kurosawa con il suo capolavoro – può sempre cambiare copione e attori, in qualsiasi momento.