L’Italia spiaggiata

spiaggeL’Italia ha il 35% delle coste balneabili d’Europa. 5000km di spiagge. Una “ricchezza straordinaria”, per dirla con le classiche parole roboanti e inutili che in questi casi usano i politici. Su una gran parte di queste spiagge sono stati costruiti nel tempo lidi e stabilimenti balneari. All’inizio in maniera disordinata e selvaggia. Poi, attraverso sanatorie e concessioni, coloro che avevano occupato le spiagge hanno progressivamente acquisito dei “diritti”. Niente di strano, così funziona il mondo: prima c’è il Far West, successivamente ci si dota di regole e leggi, lo Stato rivendica le sue prerogative e i cittadini si mettono in regola. In questo modo, molti bravi imprenditori si sono impossessati delle spiagge italiane: 30mila proprietari di lidi e stabilimenti che rendono più piacevoli le nostre vacanze. Pagando una miseria per le lunghissime concessioni ottenute, se è vero che nel 2012 il Demanio ha incassato solo 102 milioni dalla proprietà delle coste italiane.

Poi, a un certo punto, arriva l’Europa che dice: guardate che bisogna fare delle gare per aggiudicarsi le spiagge, le concessioni non vanno bene. Così accade quando dal capitalismo primitivo e di accumulazione si passa al mercato trasparente e regolato. Tutti devono avere la possibilità di fare impresa, coloro che hanno finora vissuto del privilegio delle concessioni si devono mettere in gioco e competere, fare – se sono in grado – le offerte migliori, oppure passare la mano ad altri. In questo modo lo Stato incamera più soldi e si genera anche concorrenza, quindi mobilità sociale, dinamismo culturale, innovazione. La mitologica crescita.

L’uovo di Colombo, direte voi. E vi aspettereste che i politici italiani facciano a gara per recepire la direttiva dell’olandese Bolkestein – commissario europeo in epoca Prodi – nei tempi più rapidi, cogliendo l’occasione per la modernizzazione e la crescita di un mercato che per noi riveste una certa importanza (avete presente, no? il belpaese, il futuro sta nel turismo e tutte le minchiate con cui si sciacquano la bocca quotidianamente…).

Invece succede che un gruppo di parlamentari del Pdl – nell’ambito della legge di stabilità – propone la sdemanializzazione degli stabilimenti turistici, con l’obiettivo della privatizzazione, ma con diritto di opzione per i concessionari già esistenti. L’idea è pessima perché non ha niente di liberale: punta – come confessa candidamente Gasparri  – a “stabilizzare le concessioni, cambiando le normative europee che sono ridicole”. Dall’altra parte il piddinrenziano (renziano… vuoi battere un colpo, Matteuccio?) Realacci si indigna per la proposta (“aspettiamo solo che qualche emulo di Totò proponga di vendere la Fontana di Trevi”), i Verdi sono pronti a incatenarsi per “una cosa semplicemente schifosa”, e Vendola urla contro “un altro colossale scempio delle coste del nostro Paese”.

In sintesi: la destra – fingendo un cambiamento – protegge un pezzo di capitalismo arretrato e assistito; la sinistra – come fa quando non ha uno straccio di idea, cioè spesso – tira fuori le logore bandiere dell’ideologia. Nella sostanza, insieme difendono lo status quo e sono contro il mercato. D’altronde, sempre il candido Gasparri conclude le sue significative riflessioni sul caso dicendo: “L’Italia non è l’Olanda”. Infatti.