Grande Di Vico.

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Il corto circuito dell’incertezza nel pezzo di Dario Di Vico sul Corriere di stamattina.

Se c’è un impianto che in Italia lavora tutti i santi giorni e su tre turni è la fabbrica dell’incertezza. A farla girare a pieno ritmo concorrono molti soggetti, che magari agiscono in contrasto tra loro ma che alla fine producono nel cittadino un diffuso sentimento di smarrimento e di oscuramento del futuro. Prendete l’ultimissimo caso, la trasformazione dell’acronimo che sta a indicare la nuova Service tax: da ieri sappiamo che non si chiamerà più Trise bensì Tuc. Se dalla comunicazione passiamo alle questioni di sostanza la valutazione non può che essere la stessa: i messaggi contraddittori sono diventati la regola. Sull’ipotetico provvedimento di stop all’indicizzazione delle pensioni sopra i 3 mila euro ogni giorno si registra una novità: prima le si sterilizza, subito dopo si alza la fascia colpita, poi si torna indietro. Il cuneo fiscale inizialmente viene sbandierato come il passepartout della ripresa e della riduzione del gap di competitività e dopo qualche tempo si fa sapere che, con le risorse scarse a disposizione, tanto vale rinunciarvi e con quei soldi sussidiare i poveri. L’elenco delle proposte aleatorie potrebbe continuare in maniera impietosa e possiamo anche facilmente prevedere che tutta la discussione parlamentare sull’aggiustamento della legge di Stabilità avrà l’effetto di mettere in circolo ulteriori insicurezze. 
Se governo e Parlamento agli occhi dell’italiano medio appaiono gli stakhanov della produzione di incertezza anche le associazioni di rappresentanza danno il loro contributo. La Cgia di Mestre è diventata come la Settimana Enigmistica, ha subito innumerevoli tentativi di imitazione. In tanti si dedicano alla creazione di statistiche-corrida (alla Corrado) e pur di avere due minuti di visibilità sparano numeri a casaccio. L’altro ieri la Coldiretti è arrivata a mettere in rete uno studio nel quale ha previsto, con oltre un mese di anticipo, che più di 4 milioni di italiani non consumeranno il cenone di Natale. Per carità, nessuno vuol chiudere sulla gravità della crisi e sui profondi mutamenti, persino antropologici, che sta causando ma la quotidiana mitragliata di statistiche ad effetto che ampliano a dismisura questo o quello scampolo di realtà non aiuta nessuno. Un associato chiede indicazioni, offerta di nuovi servizi, soluzioni. Che la situazione è difficile già lo sa. Ripeterglielo alzando continuamente i decibel sa di deresponsabilizzazione e serve solo a minare il suo spirito di reazione, la voglia di battersi. 
Le reazioni che le continue iniezioni di incertezza generano sono le più varie e investono anche il tema del risparmio. Prometeia ci dice che gli italiani sono tornati a metter da parte (+1%), non certo perché il reddito disponibile sia aumentato bensì per effetto di una meticolosa (e dolorosa) spending review familiare. Persino la raccolta delle banche, secondo quanto rilevato ieri da Bankitalia, è cresciuta (+3,7% in un anno) e non certo perché quel denaro sia ben remunerato. La verità è che gli italiani di fronte alla confusione tendono a star fermi e a non consumare. Li stiamo educando ad aspettare il peggio. E non è una buona strategia per evitarlo.