Matteo Renzi prende il treno, saluta la gente alla stazione e per strada, va in giro in Smart o in bicicletta, si aggira a piedi per Roma a tarda sera. Da solo. Una persona normale nel mondo normale, che del mondo normale condivide luoghi e tempi, servizi e inefficienze.
Una volta eletto Presidente del Consiglio, dovrà prendere le distanze dal mondo. Sulla base di una legge approvata nel 2002, il premier sarà scortato: l’Aisi, il servizio segreto interno, ne assicurerà h24 la protezione, e “con modalità indipendenti dalla volontà del soggetto tutelato”.
Circondato da uomini dallo sguardo severo e cupo (anche se spesso più attenti a entrare nelle inquadrature che a vigilare), cambieranno le foto e le immagini di Renzi. Il giovanotto sarà visivamente e fisicamente risucchiato dal sistema, sistemato nella prigione dorata dei potenti.
Tutto questo malgrado la sua volontà. C’è una legge che lo impone.
Quando incontri un’istituzione, c’è sempre una norma che ti impone di fare cose sbagliate e di evitare le cose giuste. Il disastro italiano è alimentato, giustificato, sancito dal numero più alto di leggi del mondo, che hanno il solo obiettivo di avallare sconcezze e privilegi delle mille caste. Gabbie che impediscono il cambiamento. Alibi per mantenere gli status quo.
Faccia una cosa, il nuovo Presidente del Consiglio. Infranga subito una legge. Rifiuti la scorta, crei un caso. Faccia capire che l’aria cambia, non avallando – a partire da questo piccolo segnale – la giungla vischiosa e fetida del folle normativismo all’italiana. Lo faccia capire immediatamente. Altrimenti ne diventerà schiavo, dal giorno dopo.