Nacque alla politica, riccioluto e barricadero, in un liceo della provincia meridionale. La cosa che sapeva fare meglio era scrivere. La grande nave scuola, che tutto sapeva e capiva, ne intravide le capacità, lo portò in città e lo fece giornalista.
In una mitica redazione degli anni ‘70 imparò il mestiere. Ma solo il tempo bastante per mollare la nave scuola, prima che andasse ad infrangersi sui duri scogli della storia.
Fu subito rapito dal bel mondo di piazza Indipendenza, dove affinò il mestiere e la sua arte suprema, il cinismo. Arte che l’avrebbe attratto come nessun’altra, grazie alla quale si possono astrattamente tenere in vita solide convinzioni, dichiararle inattuabili per colpe altrui e fare comodamente le bucce al mondo.
Ma peregrinò a lungo prima di diventarne campione. Ebbe il tempo di varcare la Manica, affascinato da un leader che la sua nave scuola l’aveva abbattuta a picconate e stava rottamando la vecchia Albione. Caricato a mille, tornò coraggiosamente nella provincia italiana e fondò un quotidiano. Un piccolo vascello che per un po’ ruppe i coglioni a tutti, fino a che non se li ruppe lui, stanco di predicare nel deserto. Per un breve periodo coltivò margherite, e forse fu quella la stagione in cui decise che poteva bastare, che era venuto il momento di abbandonarsi all’ebbrezza molle del cinismo rosicone (che all’epoca non si chiamava ancora così). In fondo cominciava ad avere un’età.
Tornò alla sua creatura, ma solo per un po’, e – diciamo la verità – solo per fare cassa. Poi, finalmente, trovò la casa giusta. Era la casa madre. La centrale operativa italiana del cinismo. Il giornale-procura che da venti anni mette in crisi governi mandandogli addosso i magistrati, il giornale-casta che delegittima i politici in nome dell’anticasta, il giornale-perbene che regna sulla destabilizzazione permanente. Che oggi tifa Grillo, ma non è il Fatto.
Da allora il nostro dà il meglio di sé nell’esercizio dell’arte. Addirittura sublimata da quando è tornato nella città della sua gioventù, dove il cinismo fiorisce nelle suburre come nei più bei terrazzi di Posillipo. Gli mancava solo un leader di riferimento per il terzo millennio. Stamattina l’ha trovato: si chiama Luigi Di Maio. Evviva.