Ieri l’Istat ha pubblicato gli indici mensili del clima di fiducia diffuso tra consumatori e imprese: un indicatore fondamentale per capire dove va il paese. Secondo l’indagine, entrambi gli indici hanno toccato, a marzo 2015, il livello più alto da molti anni a questa parte. Sabato scorso su Repubblica Ilvo Diamanti ci aveva invece detto che “il clima d’opinione è grigio. Oscurato dall’insoddisfazione economica e dalla rabbia contro la corruzione politica”. Così l’Atlante politico mensile prodotto per il giornale. Capirete che c’è qualcosa che non quadra. Ma non ci vuole molto a risolvere il rebus. Basta andare a quelle colonnine che si pubblicano per legge di fianco ai sondaggi, o nelle note informative reperibili sul sito dell’Istat, per tarare il valore scientifico delle due ricerche.
Diamanti lavora su un campione di 1.103 intervistati. Lo 0,0018% della popolazione italiana: 1 ogni 54mila cittadini. Per capirci: una cinquantina a Roma (2.800mila abitanti), venti a Milano (1.300mila), quindici a Napoli (1.000mila); nessun intervistato – per dire – dalle parti di Teramo e Siena (54mila), o Chieti e Rovigo (52mila), e via calando. E il bello è che gli eroici 1.103 sono il 16% dei “chiamati”: in 5.702 si sono rifiutati di rispondere. L’84% degli italiani ha fatto marameo ai ricercatori: non ha voluto rispondere per generale sfiducia nei confronti dello strumento, perché preferisce tenersi per sé le opinioni che ha, perché non voleva perdere tempo, perché era fuori casa (e i sondaggi si fanno generalmente ancora al telefono fisso!), a cena o a fare cose più divertenti, etc… E meno male che il buon Diamanti ci avverte alla fine che il margine di errore del sondaggio è del 3,1%. Con questi numeri, se afferri qualcosa di fondato devi andare scalzo a Pompei.
L’Istat lavora su un campione doppio (non 1000, ma 2000 per i consumatori e 2000 per le imprese). I questionari sono armonizzati con metodologie europee. Vengono condotti mensilmente (dal 1982 per i consumatori, dal 2007 per le imprese), componendo delle solide serie storiche. I valori sono quindi ponderabili (così si fa nelle ricerche serie), fino a formare statistiche più che affilate. La segmentazione dei campioni e l’articolazione delle domande dei questionari consente valutazioni specifiche attendibili.
Tante grazie, direte. Stai paragonando l’Istituto nazionale di Statistica, che ha profilo istituzionale, autonomia, storia e risorse umane e materiali a disposizione, ad un istituto di ricerca privato che lavora con budget limitati, e dipende dalle richieste non sempre asettiche della committenza.
Lo so. E’ che dà fastidio vedere piegate le ragioni dei numeri a quelle del marketing. Soprattutto quando si parla di cose serie. Tutto qui.