“Ex malo bonus“, avrebbe detto su Repubblica Linda Giuva (affetto, solidarietà, stima) a Concetto Vecchio in visita alla Madeleine (foto). L’errore deve essere del cronista, non di una donna colta come Linda (affetto, solidarietà, stima). A meno che non sia una sofisticata battuta (bonus nel senso del premio degli ordini di vino ricevuti a ridosso del noto “caso”). Ma allora Vecchio avrebbe dovuto segnalare il giochino al suo lettorato.
E comunque nell’espressione, ancorché storpiata, c’è un pezzetto della filosofia e anche della maledizione dalemiana. Quante volte l’ho sentita, e a mia volta pronunciata. “Ex malo bonum” (anche – forse meglio – “e malo bonum”), era il nostro mantra, quando una strategia veniva meno, dopo un fallimento o una sconfitta. Veltroni vinceva ai fax? “Ex malo bonum“, noi ci rifaremo negli organismi. Andava male la Bicamerale? “Ex malo bonum“, e ci si buttava un po’ a sinistra. Cadeva Prodi? “Ex malo bonum” e si finiva (sciaguratamente) a Palazzo Chigi.
Una volta Claudio Petruccioli – se non sbaglio – disse che D’Alema era un maestro nella ricostruzione della realtà ex post, capace di buttarsi alle spalle, senza pagare dazio, errori e percorsi fallimentari, riscrivendo ogni vicenda trascorsa a suo uso e consumo, con indubbia capacità affabulatoria. Di questo (ad essere generosi) storicismo esasperato ed esasperante, “ex malo bonum” era la forma icastica.
Icastica ma sbagliata, consolatoria, autoassolutoria. Lasciamo l’espressione al cristianesimo misericordioso di Agostino. Il male non viene mai dall’esterno, ce lo procuriamo da soli. E – come diceva Seneca – dal male non viene mai fuori il bene. La famiglia, che ha letto buoni libri, depenni la formula dal proprio vocabolario.