La retorica spompata del 25 aprile

Come tutte le retoriche, detesto anche quella del 25 aprile: il diluvio di chiacchiere radiofoniche e televisive, i partigiani che ogni anno aumentano invece di diminuire (come crudamente decreta l’anagrafe), i pigri richiami ai “valori fondanti” e alla “libertà riconquistata”, che stamattina trovano una specie di summa teorica nell’intervista di Mattarella a Repubblica, il cui significativo titolo è “non abbassiamo la guardia, così si riafferma la democrazia” (ma quale guardia? e chi la contrasta, questa benedetta democrazia?), e che procede in una posticcia ricostruzione della storia nazionale in cui si affastellano senza alcuna logica brigate nere e brigate rosse, la sacra Costituzione e la resistenza tradita, le stragi di Stato e il divario del Mezzogiorno, Aldo Moro e la P2, il Risorgimento, le Foibe e il terrorismo jihadista. Tutti i più scontati totem repubblicani, che vorrebbero costruire un filo e unire gli italiani intorno al pathos della famosa “memoria condivisa”, e realizzano invece il risultato opposto. Perché avallano letture di parte, ideologiche e faziose, confermando il conformismo piatto e la pochezza culturale di una vecchia, esausta classe dirigente, che dopo 70 anni non riesce a liberarsi dei fantasmi e a proiettare il paese verso il futuro (che sarebbe il solo modo per dare un senso al passato, come giustamente – sia pure rozzamente – dice ogni tanto Renzi).