La big society sotto il Vesuvio

L’altra faccia dell’ormai endemico degrado della mia città, fatto di strade dissestate, trasporti inesistenti, sporcizia diffusa, menefreghismo degli apparati pubblici, è dato dallo sviluppo di una miriade di iniziative dei privati, in campo sociale, culturale, turistico, gastronomico. Superato lo sconcerto crescente per la totale assenza di una convivenza fondata su regole condivise, quest’aria ti prende, e finisce per diventare gradevole, in questo bel week end di primavera che precede l’avvio del Maggio dei Monumenti, quando Napoli – pare – esploderà di turisti.

Il mio amico Salvatore, che la città la vive gioiosamente, mi racconta di sofisticati concerti di musica antica, di nuovi posticini carini dove mangi un ottimo ragout a pochi euro, di musei-fai-da-te allestiti in palazzi e antiche dimore, di visite guidate nei mille angoli magici di cui dispone questa terra. Iniziative che nascono come funghi, puntano all’autofinanziamento, e magari lo realizzano. Guidate da un solo comandamento: lasciateci fare. Istituzioni, politici, amministratori, per cortesia, non vi mettete di mezzo, ché finireste per rovinare tutto.

Il pessimo ma furbo sindaco ha capito perfettamente e si adegua. Incapace di progettare un futuro di sviluppo e di crescita, del tutto sprovvisto di un minimo di cultura di governo, da una parte liscia il pelo alla città plebea, mettendo in scena sul cosiddetto lungomare liberato il peggiore napoletanismo macchiettistico, dall’altra lascia che le molte iniziative private vadano avanti, non ci mette il cappello come sempre tendono a fare le amministrazioni pubbliche, quantomeno non le ostacola con atteggiamenti vessatori. Un comportamento non stupido, peraltro ben incarnato dal suo assessore alla cultura, Nino Daniele, persona civile e colta.

Anni fa, quando capitai a fare l’assessore in regione, maturai l’idea che a Napoli, in una condizione di totale anarchia, fosse paradossalmente più facile realizzare quella big society di cui ero – e sono – innamorato: una società sempre più autoregolata, in cui le istituzioni arretrano, stanno sullo sfondo per fare – magari bene – solo l’essenziale, lasciando ai cittadini la possibilità di governare in autonomia i propri territori. Era – ed è – una provocazione: perché è evidente che la big society, per realizzarsi, ha bisogno del massimo di consapevolezza civica, di responsabilizzazione dei singoli: e, da questo punto di vista, direi che la mia città ha tanti passi avanti da fare. Eppure, evidentemente, le difficoltà aguzzano l’ingegno. E l’assenza delle istituzioni mette i cittadini di fronte a scelte necessarie. O di questo pezzo di terra che abitiamo ce ne occupiamo noi, o non se ne occupa nessuno. I napoletani lo stanno un po’ capendo. Sbaglio? Pecco di ottimismo?