(La prof. si arrabbierà molto per questo post: non tollera che io metta in piazza cose che la riguardano, senza il suo permesso. Ma è troppo forte la tentazione di raccontare).
Mia moglie è un’insegnante di liceo. Obiettivamente riconosciuta in città come una delle migliori in circolazione: preparata, sempre aggiornata, mai un giorno di assenza, esigente con i suoi studenti, che ama, riamata. Quelli che bocciò, capita che l’incontrano dopo tanto tempo e le dicono: “Aveva ragione lei, prof. Come mi servì quella lezione…”. Intere sue ex-classi vengono a trovarla a casa per parlare del loro futuro, e gli incontri sono occasioni per ricordare gli anni trascorsi insieme, gli aneddoti entrati nel mito, gli sfottò dedicati a questo e a quello. Per non dire delle giornate che la prof. trascorre a telefono, per rincuorare qualcuno, stemperare tensioni, elargire consigli.
C’è poi un periodo dell’anno in cui a telefonare sono i genitori: amici, amici di amici, conoscenti e sconosciuti che la chiamano per chiedere: “Mi dai un consiglio? In che scuola devo mettere mio/a figlio/a l’anno prossimo? Sai, è il primo anno delle superiori, ci tengo a fare la scelta giusta… E poi, se lo/la mando lì, in quale sezione lo/la metto? Non sia mai capitasse con XXX, me ne hanno parlato malissimo. E’ una/o che a scuola ci viene e non ci viene, non conosce neppure l’alfabeto greco, gli studenti lo/la prendono in giro, non è in grado di mantenere l’attenzione e la disciplina… ti prego, aiutami a capire che scelta fare”. La prof. più o meno li conosce tutti, gli istituti e i colleghi. E risponde da par suo, con quel tanto di bonaria severità che le viene unanimemente riconosciuta: ci sono giudizi per tutti. “Allora, ti prego, mi puoi dare una mano? Puoi parlare con il/la preside per mandare mio/a figlio/a nella sezione B, con il/la prof. YYY? Voglio che lo inizi per bene, questo suo percorso scolastico”. Solo a questo punto mia moglie si irrigidisce: “Ma come faccio? Questo non è possibile… A parte che tutti vogliono andare nella sezione con YYY e non con XXX, metterei in difficoltà il preside, che sta facendo i salti mortali per formare le classi… comunque, guarda, so che anche quest’anno ci sarà il sorteggio…”. E così la telefonata si conclude. Con il genitore costretto ad affidarsi alla sorte e la prof. in crescente sofferenza per la deriva della scuola che tanto ama.
Alla prof. piace la buona scuola di Renzi. La sua esperienza quarantennale le dice che l’unico modo perché l’istituzione possa sopravvivere e migliorare è premiare il merito, cioè i bravi studenti e i bravi insegnanti, fare della scuola un luogo in partenza del tutto inclusivo e progressivamente selettivo. Pensa che dare maggiori poteri ai dirigenti possa creare una competizione virtuosa tra gli istituti, che possa aumentare la serietà degli studi, lo spirito di appartenenza a delle comunità nelle quali studenti, genitori e insegnanti crescono fieramente insieme.
Che c’entra la Boschi, direte a questo punto. La Boschi c’entra perché mia moglie l’adora. “E’ l’alunna che ho sempre sognato. Come i tanti ragazzi che ho cercato di formare, a volte riuscendoci. Preparata, non secchiona. Una che parla con proprietà di linguaggio, si vede che non ha imparato a memoria. Sicura di sé, ma serena, non spocchiosa. Sempre misurata. E’ proprio brava”. Giudizi da prof., non giudizi di parte di una militante faziosa.
Il giorno dopo l’approvazione di una riforma gestita da una ragazza di 34 anni che si è messa in tasca l’intero Parlamento, e nel giorno dello sciopero più insulso e autolesionista che la scuola ricordi, vale la pena ricordare che la Boschi – e tante/i come lei – è uscita dalla vecchia scuola italiana. Per fortuna non tutto è da buttare. Ma se vogliamo che la nuova classe dirigente sia fatta da molte più Boschi, la scuola deve cambiare, e presto.
ps. E comunque non pigliatevela con la prof. per questo post, ne porto io integralmente la responsabilità. Vorrei ritirarmi a casa, stasera.