Da un po’ di tempo, quando mi interrogo di politica, non mi chiedo tanto se Renzi “ce la farà” (ma poi a fare che cosa, tutti i politici dicono ispirati “ce la faremo”, ma non si capisce mai bene di che si tratta…), ma quale è la base strutturale su cui fonda il suo indubbio e – penso – non effimero predominio sulla scena italiana.
Il punto su cui – forse – siamo tutti d’accordo è che Matteo Renzi divide, che di suo non è un buona partenza. E il bello è che l’intesa finisce qui. Perché la domanda successiva è: divide chi? Per esempio: la destra dalla sinistra (posto che abbiano ancora un senso queste parole)? C’è chi lo pensa (io no). Ogni tanto un po’ di destra liberale (e minoritaria) gli dà credito, ma alla destra schiettamente conservatrice, magari un po’ protezionista e statalista, Renzi di certo non piace. Così come (ma questo si sa) non piace alla sinistra tradizionale, schierata in difesa delle cosiddette “conquiste” del secolo passato. Mentre a momenti piaciucchia alla sinistra moderata, un po’ liberale un po’ liberista, comunque scettica per definizione verso chiunque. In sostanza, nel migliore dei casi, Renzi è simpatico a due minoranze di destra e sinistra, che naturalmente non convivono, e che comunque messe insieme non farebbero non dico il 40% ma nemmeno il suo decimo.
Allora divide i poveri dai ricchi? Anche questa mi pare una pista sbagliata. Ai meno abbienti Renzi ha dato gli 80 euro ma ha tolto l’articolo 18 e quindi – dicono – la sicurezza; agli imprenditori ha concesso gli sgravi del jobs act, ma al capitalismo (di relazione) non va giù la riforma delle popolari. E così via, in un bilanciamento pressocché scientifico di carota e bastone con gli uni e gli altri.
Forse divide per generazioni, anche se non come si pensa solitamente. Lo dicono le ricerche più serie sull’ultimo voto attendibile, quello del 2014: il Rottamatore (con il suo Pd) piace più agli elettori dai 55 anni in su (46%) e agli ultra 65enni (50%), che ai giovani dai 18 ai 34 anni (36%). E, soprattutto, piace poco (31%) ai suoi coetanei, quelli dai 35 ai 44 anni. E’ un fenomeno che verifico spesso di persona: i quarantenni lo soffrono, lo descrivono spocchioso e fanfarone, circondato da collaboratori incapaci, incapace di un progetto di governo. Strano paradosso, per una generazione che si dovrebbe specchiare in Renzi, e invece gli scarica addosso un bel po’ di frustrazioni (e anche di invidia).
Molti, poi, dicono che Renzi divide la società tagliandola a metà, ma in orizzontale. La parte di sopra della piramide sociale gli è chiaramente contro: apparati, nomenclature, burocrazie, corpi intermedi, sindacati, garantiti. E lui non fa nulla per portarli a sé. Con lui, e grazie alla sua efficace comunicazione, si ritrova la parte di sotto, la moltitudine che guarda la Tv e non si occupa di politica. Vecchio, ma universale e sempre valido fondamento di ogni populismo. Corteggia e blandisci la base della piramide. Se le cose non vanno, incolpa quelli che stanno tra te e la ggente.
La conclusione, dunque, è che Renzi divide trasversalmente: interessi, valori, generazioni. Il punto è che questa trasversalità ambigua ed esibita è la sua forza, ma anche il suo più serio limite. Perché inibisce la mobilitazione intorno a cause unificanti e ricche di senso di tutti coloro che potrebbero e vorrebbero sostenerlo più attivamente nel suo sforzo titanico. (E, proprio mentre scrivo questa aulica conclusione, penso che anche io – come oggi De Bortoli dice di sé in una bella intervista al Fatto – resto ancorato “ad una visione un po’ novecentesca della politica, dell’economia, della società”. Meglio lasciar fare a lui e ai suoi fuochi pirotecnici. tutto sommato. Qualcosa si inventerà, giorno dopo giorno).