Ancora sulla rivoluzione dell’ageing

Su Fb un amico – ne taccio il nome per evitargli linciaggi – commenta con entusiasmo il mio post di ieri, concludendo che Renzi avrebbe bisogno di gente come me al governo. Io ringrazio per l’endorsement, ma colgo l’occasione per dire che il mio ‘folle’ ragionamento va in tutt’altra direzione.

La (mia) rivoluzione dell’ageing prevede che – in conseguenza del clamoroso allungamento delle aspettative di vita – cambino radicalmente i percorsi di formazione, di crescita, di carriera. Alla base si tratta di trasformare il rapporto con il potere, che nella vecchia società è sempre stato inseparabilmente collegato all’esperienza e alla conoscenza. In sintesi, le competenze/informazioni acquisite nella formazione da giovani servono per conquistare quote di potere e posizioni di gestione da rafforzare e conservare fino all’età della pensione. O, nel caso dei poteri pubblici, vita natural durante. (L’esempio estremo riguarda l’elezione a cariche primarie, che prevede spessissimo una soglia d’età d’ingresso, e mai nessun limite d’età).

La società nuova rovescia tendenzialmente questo schema. Intanto perché il potere si va sempre più ramificando. Il potere-feticcio chiuso nelle stanze dei bottoni, non esiste e non esisterà più. Ognuno di noi organizza fette crescenti della propria esistenza prescindendo dalle istituzioni. Conoscenze e informazioni sono sempre più socializzate, aumenta a dismisura il potere diffuso delle reti: di interesse, di relazioni, di autogoverno. Mentre i tradizionali compiti di gestione degli esecutivi si esauriscono: gli stessi governi (e le leadership) ritrovano una effettiva funzione solo progettando soluzioni inedite (e parziali, limitate) per il futuro.

Ma perché questo futuro deve essere deciso (diciamo influenzato…) dalle vecchie generazioni e non da coloro che ne dovranno godere i frutti (o pagare le conseguenze)? La mancanza di esperienza impedisce ad un giovane di misurarsi con il governo della cosa pubblica? Qui – mi rendo conto – c’è forse il vero discrimine. Generalmente si è sempre ritenuto che l’esperienza sia necessaria per compiere le scelte migliori nell’interesse generale. Non è più così. Come dimostrano gli ultimi decenni, di fronte a cambiamenti più che epocali, le generazioni più anziane si sono chiuse a protezione delle proprie conquiste (anche perché – e si torna al punto – vogliono godere degli effetti dell’allungamento della loro vita…). Mentre ai giovani è stato destinato un improduttivo – e irresponsabile – prolungamento dell’adolescenza.

Per questo – per quanto possa apparire paradossale – la rivoluzione dell’ageing non è cosa diversa dalla rottamazione. La società nuova deve essere gestita da giovani – ambiziosi, inesperti, eterodossi, iconoclasti –  chiamati a sperimentare soluzioni per quello che resta da governare della società della disintermediazione: compito faticoso (e non gratificante, peraltro). Gli anziani devono vivere l’ultima, sempre più lunga coda della loro esistenza lasciando il potere, trasferendo le conoscenze – più o meno valide, questo si vedrà – accumulate, creando mercati e consumando. (Molto più divertente, detto da un sessantenne).