“Dovrebbe in primo luogo l’imposta ereditaria falcidiare alla morte di ogni uomo tutta l’eccedenza della sostanza che egli in vita ha saputo cumulare al di là di quanto basti a garantire la vita del coniuge superstite, la educazione e la istruzione dei figli sino alla maggiore età economica, la sussistenza dei figli inetti, per deficienze fisiche o mentali, a procacciarsi il sostentamento, il possesso della casa, provveduta di adiacenze, di mobilio, di libri e di oggetti vari, reputata bastevole alla famiglia sopravvivente; sicché la sostanza riservata sia mantenuta entro limiti atti a impedire diseguaglianze apprezzabili nei punti di partenza” (Luigi Einaudi – Lezioni di politica sociale – 1949).
Chiacchiere giornalistiche dicono che Renzi vorrebbe tornare a tassare la successione, imposta abolita da Berlusconi. Magari lo facesse. Sarebbe una misura di stampo liberale, un segnale (parziale e limitato*) in direzione di una società più giusta, che garantisca tendenzialmente uguali opportunità di partenza e dia una spinta a principi sanamente meritocratici nella corsa della vita.
Temo che non lo farà. Nel triste dibattito pubblico italiano, la sinistra, estrema e non, chiede la tassa sulla successione per punire i ricchi, non per i principi democratici di cui sopra, mentre la destra difende l’attuale regime per elementari riflessi pavloviani e pura propaganda di parte.
A nessuno vengono in mente le parole di Luigi Einaudi, probabilmente in pochi le conoscono. Il nostro non è un paese per liberali.
*Certo, un segnale parziale e limitato, perché il vero obiettivo da conseguire sarebbe l’abolizione dell’eredità, principio che affossa lo spirito d’impresa, favorisce il parassitismo e impedisce la mobilità sociale.