E’ detestato dalla destra più rozza, che non gli perdona di essere stato comunista e poi di non esserlo stato più, conquistandosi stima e consensi presso i moderati e i benpensanti. Per lo stesso motivo è odiato dalla sinistra tutta di un pezzo, con l’infame aggravante del tradimento della causa, che i più coerenti datano all’incirca alla metà dello scorso secolo. Non è amato dalla stampa, che ha sempre freddamente usato, centellinando interviste verificate fino all’ultima virgola. Non piace a opinionisti e notisti politici, di cui disprezza da sempre pressappochismi e gossip. Anche le vili élites del paese a malapena lo sopportavano prima di confinarlo sul Quirinale, non immaginando che da quel momento – nove anni fa – avrebbe dato il meglio di sé, guidando l’Italia verso un’inopinata terza Repubblica.
Ancora oggi, libero da incarichi operativi, interviene nelle commissioni parlamentari e nessuno ha la forza di contestarne analisi e proposte; tiene banco nel dibattito pubblico, e gli interlocutori sono costretti al silenzio o agli insulti. Tutti vorrebbero liberarsene e non sono in grado di farlo: troppa distanza di spessore culturale e politico, di profondità e di stile.
Ma il vero, radicale motivo per il quale Giorgio Napolitano è odiato dal sistema intero, è un altro. In solitudine, e contro tutti, ha rottamato due o tre generazioni successive alla sua e ha investito in un gruppo di giovani che oggi cercano di portare l’Italia fuori dalla palude. Questo non glielo perdoneranno mai, Bersani, D’Alema, Scalfari e tutti i mandarini d’Italia.