Le classi dirigenti napoletane e il ritorno del reietto

Nel marzo del 2008 il Presidente della regione Campania Antonio Bassolino era un reietto, al punto da non riuscire a trovare per la sua giunta un assessore al turismo e ai beni culturali, posto di prestigio e ben pagato, ma scottante. Napoli era sommersa di rifiuti, la responsabilità del disastro veniva caricata su di lui, ritenuto da 15 anni il dominus della politica locale. Nessuno voleva immischiarsi con le cose napoletane e – soprattutto – nessuno voleva averci a che fare, con Bassolino. Io fui interpellato per trovare una soluzione, un qualche nome spendibile che non trovai. Così gli dissi “se vuoi vengo io, gratis, a darti una mano”. Gli volevo bene, allora come adesso. Feci il suo assessore per un anno, poi me ne andai: non c’erano le condizioni per fare nulla di buono, in una situazione politica degradata quanto quella sociale.

A Santa Lucia misurai da vicino il declino bassoliniano pochi giorni dopo il mio arrivo. Era il suo compleanno, e nessuno aveva voglia di festeggiarlo, tanto più che i giornali discutevano dell’imminente, possibile crollo della giunta. Fu Angela, la sua storica segretaria, a dirmi: “Claudio, prova tu a fare qualcosa”. Convocammo un po’ di collaboratori in sala giunta e con una bottiglia di prosecco brindammo in un clima surreale e silenzioso, che ad un certo punto fui io a rompere, dicendo grosso modo: “Qui stiamo, qui ci vedremo pure l’anno prossimo e poi si vedrà…”. Antonio sorrise stancamente. Non so quanto lui stesso scommettesse, allora, sul suo futuro politico.

Ma quello che soprattutto mi impressionò, in quei giorni e dopo, fu la ferocia che la città esprimeva nei suoi confronti. Ci sta – mi dicevo – quella del popolino. Come altre volte nella loro storia, i napoletani avevano messo sul piedistallo un regnante fino ad idolatrarlo, per poi scaricarlo, pronti ad impiccarlo in piazza. Mi intristivano i politici che gli voltavano le spalle, ma sapevo che in quel mestiere fetente non sono previsti sentimentalismi: in tanti volevano rifarsi una verginità ed evitare la condivisione della gogna. Mi sembrava abbastanza orribile l’improvviso antibassolinismo dei tantissimi beneficiati del suo regime: intellettuali, professionisti, consulenti, insomma i membri regolari della cosiddetta “società civile” che in quindici anni avevano razziato posti di comando e prebende, e ora erano pronti a riciclarsi in vista dell’arrivo di nuovi padroni. E trovavo vergognoso l’atteggiamento dei giornali napoletani, pregiudizialmente e violentemente  schierati come un sol uomo contro colui cui avevano leccato il culo fino al giorno prima.

Sono trascorsi da allora sette anni. Oggi intere paginate delle gazzette cittadine sono zeppe di alate dichiarazioni e attestati di stima nei confronti di Bassolino, rilasciate dalle stesse, medesime persone che l’avevano messo in croce sette anni fa. Io – che parlo a Antonio con l’amicizia e la franchezza di sempre, e sono stato con lui nel suo momento peggiore – penso che la sola ipotesi di una sua candidatura sia sbagliata, che non sia altro che la fotografia seppiata del declino della città. Ma di questo – magari – si parlerà più in là. Ora, nel distacco del ritiro agostano, prevale in me – uso un’espressione forte ma appropriata –  il disgusto morale nei confronti di molti miei concittadini. Abbiano almeno il buon gusto di tacere.