Chi dà i numeri

Nuovi dati sfornati caldi caldi stamattina: dice l’Istat che la disoccupazione scende, quella giovanile in particolare. Tralasciamo i dettagli, nei quali già cominciamo a perderci, e che nelle prossime ore –  siatene certi – diventeranno campo di battaglia. I nuovi dati li confrontiamo su base mensile, trimestrale o sull’anno precedente? Se gli inattivi – come pare – si assottigliano, è perché più gente trova occupazione o perché cresce la disillusione e in tanti il lavoro neppure lo cercano? I contratti sono effettivamente nuovi o sono semplici stabilizzazioni? Ma non è che i dati riguardano (anche questo leggiamo) diversi contratti di medesimi soggetti? E poi: il lavoro aumenta al Nord o al Sud? Tra le donne o tra gli uomini? Tra gli under 25 o tra gli over 50?

Allora. Mi rendo conto che chiedere – per pietà – di risparmiarci la periodica e già decollata rissa sui numeri è perfettamente inutile. In Italia non esiste la cultura dei numeri: nessuno li sfrutta solo e semplicemente per prendere le misure alla realtà, per capire meglio il passato, per orientarsi sulle scelte future; tutti cercano, strumentalizzandoli, di piegare la realtà alle proprie convinzioni o esigenze. Questo è il motivo per cui in Italia i numeri vengono prodotti da tanti soggetti diversi (Istat, ministeri, agenzie varie), e diffusi in modo del tutto incomprensibile (provate a leggere questo comunicato stampa e mi direte).

Però due cose vorrei dirle. Una a chi in queste ore sta a rivoltare i dati come calzini, cercando col lanternino contraddizioni, buchi e negatività. Detto che – come è ovvio –  solo una crescita stabile e duratura allevierà la nostra disoccupazione a due cifre, il fatto che, nel frattempo, qualcuno in più lavori vi dà proprio fastidio? Non dovremmo esserne tutti contenti?  

L’altra la dico a quelli che – tutto sommato – si stanno facendo il mazzo per rimettere in piedi sto paese, insomma a governo e dintorni. Guardate, Matteuccio fa bene a postare il video dicendosi soddisfatto dei dati, e vanno bene pure tweet e post a manetta di ministri e parlamentari. Ma, se volete cominciare a comunicare seriamente i numeri, fate subito due cose:

1) eliminate la pluralità delle fonti, individuando quella più autorevole e terza. Solo così, al netto dei faziosi in servizio permanente ed effettivo, i numeri avranno la forza che, poverini, meritano;

2) nelle more, per cortesia, chiedete all’Istat di assumere qualcuno che sappia scrivere i comunicati stampa.