La prima migrante del mondo nuovo è lei. Poco conta che nei suoi percorsi di vita abbia dovuto coprire pochi chilometri: tra la DDR dove è cresciuta e ha studiato e l’Occidente, vi era un baratro umano e civile maggiore della distanza che i profughi siriani accolti ieri alla stazione di Monaco hanno messo tra loro e la barbarie.
Forse per questo Angela Merkel è in grado di capire meglio di chiunque altro come gestire l’apparentemente inedito che avanza. Qualcosa di banale nella sua semplicità: donne e uomini che – provenendo da zone di guerra o di povertà estrema – vogliono sbarcare in quelle parti di mondo dove, semplicemente, si vive meglio. Un fenomeno che la globalizzazione facilita, accelera (e, naturalmente, mitizza). Ma che comunque – come tutti possono capire, finanche Grillo e Salvini – non si può arrestare. Proprio come non poteva essere un muro ad arginare la voglia di libertà della giovane ricercatrice di fisica dell’Università di Lipsia.
Oggi la statista che ha vissuto sulla sua pelle la più grande migrazione sociale, politica e culturale del nostro tempo, sta gestendo con sapienza da leader l’emergenza dei profughi, dopo aver affrontato con pazienza e tenacia la crisi greca. Dovendo fare i conti – e non può essere altrimenti, nelle condizioni date – con la sua costituency nazionale, e in contemporanea con la miopia dei colleghi che governano altri pezzi del territorio europeo. Senza avere a disposizione i poteri cui potrebbe aspirare, se gli egoismi nazionali lasciassero il passo ad un progetto democratico più ampio.
Non resta che darle una mano e starle in scia, come da tempo fa con intelligenza Matteo Renzi. La leadership modesta e forte di una migrante è la migliore risposta agli isterismi degli xenofobi di ogni latitudine.