Sul discusso ritorno di Bassolino. Ne scrivo sul Corriere del Mezzogiorno stamattina.
Caro Antonio,
allora mettiamo i piedi nel piatto, visto che ti sei fatto vivo e hai detto che vuoi “ascoltare la città”. Io rappresento a stento me stesso, ma ti sono amico e voglio dirti un po’ di cose.
Capisco che hai una voglia matta di tornare a fare il sindaco di Napoli. Pur non essendo un ragazzino, sei pieno di energie: voli a Londra o corri a Roma a fare il nonno, sei ormai uno sperimentato runner, stai sui social, scali montagne. Ma – anche se hai imparato a recitare la pietosa bugia del “nella vita ci sono cose più importanti” – la politica ti manca maledettamente. Ti bruciano gli anni di sofferenza e marginalità, e pensi che sia arrivato il momento della Grande Rivincita. Anche perché ti guardi intorno e scruti il deserto. E, ad essere obiettivi, è così: c’è un abisso – di personalità, di passione e di forza – tra te e l’esercito di nani che aspirano a Palazzo San Giacomo.
Però cominciamo a dirci che “tornare” è la parola più sbagliata che ci sia. Il mondo va avanti. Niente e nessuno “torna”. Mai. Figuriamoci uno con la tua storia.
Tu fosti bravo, più di venti anni fa, a ridare fiato ad una città stremata. La tua prima sindacatura la ricordiamo come una bella stagione, fatta di speranze, progetti e ambizioni. Poi le cose presero un’altra piega. Almeno da quando – piuttosto presto – cominciasti a comandare più che a governare, sfruttando la tua leadership locale per cercare approdi nazionali, chiudendoti progressivamente nei palazzi del potere, mostrando approssimazione e finanche un malcelato fastidio per la concreta, dura gestione delle cose. Fino al punto di diventare – con la crisi dei rifiuti – l’incarnazione del male. Subendo la sorte maledetta e tipica del regnante napoletano, prima osannato oltre ogni ragionevolezza, e poi barbaramente decapitato.
Se hai in testa il “ritorno”, è davvero meglio che lasci perdere, Antonio. Farai la fine che diceva l’altro ieri Polito. Sarai candidato per mancanza di avversari interni, e poi bersagliato da De Magistris e grillini. Inchiodati tutti noi al passato, passeremo i prossimi sei-otto mesi a parlare di monnezza e di Bagnoli, e torneranno pure i fantasmi di Mastella e di De Mita. Metteremo in scena ancora una volta uno scontro posticcio tra vecchio e nuovo: rappresentazione orribile, nei fatti assolutoria per l’attuale sindaco, penalizzante per te, ben al di là delle tue colpe.
Si può immaginare che le cose vadano diversamente, e che tu rinunci a candidarti? Conoscendoti un po’, temo di no, perché – per quanto tu sia cambiato, e un po’ lo sei – la cocciutaggine è quella nota. E se hai deciso di combattere, non mollerai.
Allora ti propongo una sfida. Dimostra di essere cambiato per davvero, e non semplicemente perché frequenti le Dolomiti e ami i gatti. Prendi il coraggio a più mani e fai subito le seguenti tre cose:
1) hai detto che “è prematuro parlare” della tua candidatura: una tipica mossa da vecchia, vecchissima politica. Una furbata per consumare gli avversari e studiare le mosse da fare fino all’ultimo momento utile. Ti sei sempre comportato così quando eri in auge e tutti aspettavano le tue decisioni, costretti a decrittare messaggi in codice e segnali di fumo. Non sei più in quelle condizioni, e poi sono cambiati tempi e modalità della politica. Se vuoi candidarti, devi dirlo subito, con tutta la forza che hai. “Voglio rimettermi al servizio di Napoli. Fare il sindaco della mia città è la cosa più bella che ci sia. Lo dico ai napoletani come al mio partito, locale e nazionale. Parteciperò alle primarie con le mie idee, combatterò lealmente, accetterò qualunque risultato”. Insomma esponiti. Non partecipare al grottesco balletto in atto nel tuo partito e nella politica napoletana. Parla alla città con sincerità e trasparenza;
2) imponiti un divieto: non parlare per nessuna ragione al mondo delle cose mirabolanti che hai fatto al precedente giro. Se ce la fai, dedica qualche riflessione a quello che non hai fatto, e al perché non l’hai fatto. Ma sapendo che saranno comunque chiacchiere inutili. Qualunque ricostruzione del passato aprirà un vaso di Pandora, con conseguenze disastrose. I napoletani torneranno a darti fiducia solo se sapranno che metterai piede a Palazzo San Giacomo per rimboccarti le maniche e ricostruire. Rimettere i conti a posto. Far funzionare l’amministrazione e l’esercito dei dipendenti comunali. Raccogliere i rifiuti. Fare circolare i bus e mettere i vigili per strada. Cose così. Quanto al destino della città, alla sua identità e al suo futuro – il classico, eterno dibattito degli sfaccendati intellò napoletani – tienitene distante. L’equazione è: più se ne parla, più la città sprofonda;
3) datti una sola, vera mission, e soprattutto dichiarala senza indugio: il tuo impegno sarà quello di costruire, selezionare, allevare una nuova classe dirigente. Quello che non hai mai saputo fare. Se ti riuscirà la folle impresa, avrai cinque anni di tempo per investire su un bel gruppo di giovani, e consegnare loro la città. Dispiace per i miei coetanei: abbiamo chiuso (e anche fallito), ragazzi. Dispiace anche per i molti quarantenni e cinquantenni che hai cooptato nel tuo passato sistema di potere, che hanno imparato a gestire senza un guizzo o una sola idea. Lavora da subito su ragazze e ragazzi che non siano polli di quel brutto allevamento che è il Pd.
Se riuscirai a fare, ma sul serio, queste tre piccole grandi cose, forse potrai toglierti la soddisfazione di “tornare” sul luogo del delitto. Ma soprattutto – sempre nel caso – farai qualcosa di utile per la nostra povera città.
Con affetto
PS. Dimenticavo. Mi raccomando, poi queste cose vagliele a dire a Renzi…