Ho visto il Colosseo

Sarà pure una vergogna – fate voi – ma stamattina ho visitato il Colosseo quasi per la prima volta. Più di 50 anni fa, da Napoli, mi ci portò mio padre. Da molto tempo lo vedo ogni giorno da fuori; abito a 500mt di distanza, solitamente gli corro intorno schivando giapponesi, guide e centurioni (che – come vedete – malgrado le grida di Marino, anche oggi sono lì).20150926_083807Così ho deciso di tornarci dentro, in una splendida mattinata di sole. Ieri sera ho prenotato online. Cosa non agevole. Intanto, se googlate “Colosseo”, non fate l’errore di aprire il primo sito che vi si presenta; vi perdereste nel sito istituzionale dell’Anfiteatro Flavio. Lì, tra comunicati stampa, interviste al Soprintendente e informazioni ai fornitori, fareste fatica non solo a sapere come comprare un biglietto, ma anche a ricevere qualche informazione sul monumento che volete vedere: e, quando ci arrivate, pigiando apposito bottoncino, il linguaggio è talmente pedante e scolastico da scoraggiare, piuttosto che incentivare la visita. (Provate invece a cliccare “Notre-Dame o Taj Mahal o uno qualunque dei più rinomati monumenti del mondo, e capirete la differenza tra un marketing appena appena decente e i mostricciatoli partoriti dalla burocrazia italiana dei Beni Culturali). Per comprare il biglietto dovete raggiungere la pagina di CoopCulture: anche qui qualche passaggio di troppo, ma alla fine ieri sera ero in possesso della mail con il ticket.

Stamattina mi presento alle 8.30 in punto. File per gruppi o singoli, per già prenotati oppure no, organizzate con transenne un po’ sbilenche. A richiesta di banale informazione supplementare, risposta sgarbata del guardiano. Però l’attesa è poca, i piccoli cortei scorrono. Gentile la ragazza che mi spedisce alla cassa 7 a ritirare il biglietto, celere il servizio al botteghino, palesemente infastidito l’addetto al tornello, solo perché ho infilato il ticket dal verso sbagliato. La soddisfazione è che tutti mi parlano in inglese. Sarà perché di italiani non se ne vedono, perché avanzo educato e tranquillo con smartphone e cuffie, o semplicemente per coglionarmi. Per fare il bravo turista mi doto di audioguida: €5.50 per uno strumento antidiluviano e malfunzionante. Un impiegato paziente intasca i soldi e mi consegna questo20150926_112305corrfoglietto, cambiando a penna i numeri dei “punti di interesse”: una piantina fatta con i piedi, che forse con due lire si potrebbe ristampare, rendendola veritiera e, magari, più user friendly. Perché i “punti di interesse” non sono visibili e il singolo visitatore li raggiunge con difficoltà (e io non sono particolarmente imbranato, vi assicuro): la visita al monumento è strutturata ad uso e consumo dei gruppi (e questo posso capirlo, ma entro certi limiti). Lungo il percorso si incontrano guardiani che parlano dei fatti loro. Dappertutto incombe la scritta “Ministero per i beni e le attività culturali – Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma“. Ad attestare chi comanda, lo squallido ufficetto della Soprintendenza si sporge fin quasi dentro l’arena.

In sintesi. Sindacati e sindacalisti sono quello che sono, ma l’idea che uno si fa del Colosseo, dal momento in cui ti prenoti per una visita a quando ne esci, è che il pesce puzza dalla testa. I lavoratori possono essere bravi o fannulloni, amare oppure no il proprio lavoro. Ma fino a quando la gestione di un tesoro che fa 6 milioni di visitatori all’anno sarà nelle mani della ottusa burocrazia statale, non faremo sostanziali passi avanti.

Ah, e per confermarvi che ci sono stato, ecco il selfie d’ordinanza. Vietato, perché non si possono fare foto e filmati, recitano i cartelli. Ma non c’è nessuno che resista alla tentazione. E nessuno ti dice niente…20150926_085713

Perché poi sto Colosseo è pure assai bello.