Oggi scrivo sul Corriere del Mezzogiorno. Parlo di Napoli (toh!).
Per ora Antonio Bassolino è riapparso nella forma di un meme, ossia di un supporto simbolico di memoria. La sua ricandidatura a sindaco viene evocata e rilanciata solo nella chiave del ricordo, del rimpianto, al più come “eredità culturale”, saltando a pie’ pari l’amara storia che ci è scorsa nelle vene, omettendo il futuro di cui avremmo fame.
Il meme di Bassolino batte i quartieri per riprendere contatto e possesso del territorio, discute con Mazzetti sul perché chiuse – 20 anni fa! – il Circolo della Stampa, presenta libri di memorie, omaggia Siani e Vassallo, diffonde foto su Facebook con vecchi militanti, cortei dell’Alfa Sud, Berlinguer alla Sanità, e in queste ore – naturalmente – con il suo maestro Ingrao. Album di famiglia, armadio della nonna. Odore di naftalina.
Una manna per i vecchi mondi napoletani – di cui il sottoscritto è parte, sia chiaro – che si mobilitano e dicono la loro, come discutendo una faccenda di famiglia. Come se l’assenza di Bassolino dalla scena fosse solo una fastidiosa parentesi da archiviare. “Si scopron le tombe, si levano i morti, i martiri nostri son tutti risorti”, con rispetto parlando. I suoi vecchi assessori rimpiangono l’età dell’oro, gli artisti rievocano (magari già preparano opere), gli intellettuali si allenano per l’ennesimo salto della quaglia. I vecchi notabili, nella loro ottusa fissità, si oppongono come 20 anni fa, i nuovi si guardano intorno smarriti. Torna addirittura Emily, e Dio sa quanto se ne sentiva la necessità, a pochi mesi dal voto.
Nel frattempo il Bassolino in carne ed ossa si mimetizza: enigmatico, aspetta e studia gli eventi, si acquatta come un gatto. Sa che il tempo lavora per lui. I memi scavano nella memoria collettiva, e questo può bastargli. Il suo solido gene leninista, ben custodito dalle parti di San Martino, gli dice di badare alla sostanza: recuperiamo il nostro elettorato tradizionale, vinciamo la sfida interna al partito. E poi si vedrà. Altro che chiacchiere astratte, discontinuità, mondi nuovi da cercare.
E poi – conosco l’obiezione – dove sarebbero questi mondi nuovi? Parliamo per caso delle tante associazioni in cerca solo di legittimazione politica? O della società civile napoletana, fatta di professionisti e consulenti che vivono di commesse pubbliche? Oppure pensiamo alla minuscola e valorosa big society alla napoletana evocata da Ranieri, che comprensibilmente cerca prima di tutto di difendersi dagli assalti della politica?
Sono chiacchiere, è vero. A Napoli i mondi nuovi scarseggiano. Perché quando una comunità decade, perdendo funzioni, apparati produttivi, centri direzionali, non può esprimere classi dirigenti all’altezza. Non ci sono i luoghi in cui formarle. E manca buona parte della materia prima, ormai fuggita altrove. In questa condizione ci troviamo.
E quindi? E’ per questa via che si torna, piuttosto mestamente, a Bassolino, l’unico che sembra in grado di rimettere in cammino la città con un’operazione di ricostruzione, di rigenerazione “dall’alto”. “Gigante politico in mezzo a pigmei”, qualcuno ha detto con sobrie (!) parole. Ma un gigante politico deve essere in grado di produrre degli scarti, dei colpi d’ala. Deve esporsi, mettersi in gioco, dettare l’agenda. Non può ridursi a mettere in scena una triste “operazione nostalgia”.