Il Fatto e i megabias dell’Expo

Il bias del sabato sull’Unità è un megabias, dedicato alla campagna del Fatto contro Expo. 

Schermata 2015-10-31 alle 05.39.52Cala oggi il sipario sull’Expo, teatro dello scontro politico-simbolico più emblematico e radicale degli ultimi anni. Uno scontro assoluto, perché non fondato su chiacchiere, ma sulla realtà di un grande evento internazionale chiamato alle continue verifiche dei fatti. Ed esposto alla luce permanente dei media, i cui riflettori – peraltro – sono diventati roventi ben prima che l’avvenimento si materializzasse. E’ infatti a partire dagli scandali della primavera 2014 che emergono con chiarezza due visioni contrapposte dell’appuntamento, e si incrociano le lame dei protagonisti politici. “L’Expo è una rapina in corso, meglio chiuderlo”, dice lapidariamente Grillo il 13 maggio. Passano pochi mesi e il 13 agosto arriva la risposta di Renzi: “L’apertura dell’Expo sarà un no gufi day”. Tra i due squilli di tromba e successivamente, fino ai giorni scorsi, sull’Expo si riversa un oceano di previsioni, giudizi, proiezioni, congetture, allarmi e accuse. Di cui in particolare si fa veicolo il Fatto Quotidiano: più o meno 230 pezzi tra maggio 2014 e ottobre 2015 (74 volte in prima pagina), come testimonia la tabella.

Schermata 2015-10-30 alle 20.52.35I TITOLI DEL FATTO

Eccone una limitata selezione. 10 maggio 2014: “Ritardi, mazzette e Pm: per Expo 2015 l’incubo del fallimento”; 10/5: “Expo, panico elettorale”; 13/5: “Expo, la città della salute sui terreni avvelenati”; 15/5: “La foto di Ban Ki-Moon tolta dal sito dell’Expo”; 18/6: “Così Expo cancella il diritto del lavoro”; 9/7: “Bufala Expo: 3mila posti di lavoro su 200mila promessi”; 10/9: “Solo 800 posti, altro che 200mila”; 29/10: “Lavori Expo, politici e affari: Lombardia terra di ‘ndrine”; 7/11: “Chi compra i terreni di Expo 2015? Nessuno”; 6/12: “Si sgonfia la bufala Expo: solo 4mila le assunzioni”; 21/12: “Expo, l’albero della vita tra sospetti e ritardi”; 7/2/2015: “Expo ad un passo dal crac”; 6/3: “Il flop Expo: impossibile finire i lavori in tempo”; 19/3: “Expo, mancano 43 giorni: ecco le foto del disastro”; 7/4: “Expo, dalla Cina senza furore: la balla del milione di ticket”; 10/4: “Lo chef Sassone: Expo è un magna magna”; 12/4: “Altro che blindato, l’Expo è una groviera”; 17/4: “Klodian, primo morto di Expo”; 18/4: “Expo, 3 opere su 4 ancora incomplete e senza collaudi”; 29/4: “Expo al via, ma l’Italia non è pronta”; 5/5: “Come è inutile l’Expo nel secolo di Internet”; 9/5: “Expo, un milione di metri quadri che nessuno vuole”; 10/5: “Sulla via Crucis di Expo, cercando un po’ d’acqua”; 20/5: “Expo, la stroncatura delle archistar: sembra Disneyland”; 24/5: “Expo, la verità nascosta del flop dei visitatori”; 24/5: “Expo, una piccola fiera di periferia a Milano”; 26/5: “Flop Expo, Sala non riesce a smentire”; 27/5: “Expo, chiudetelo prima: il fallimento è totale”; 30/5: “Esposizione, Sala ammette il flop: solo 1,9 milioni di visite a maggio”;  6/6: “Expo, le cifre segrete che provano il flop”; 13/6: “Expo, gara fatta con i piedi. In ritardo tutti i gadget”; 18/6: “Cantone boccia Oscar: gli stand Eataly di Expo finiscono in Procura”; 7/7: “Ingressi Expo, il mezzo flop arriva in Comune”; 10/7: “La balla di Expo: 2 milioni e 600mila ingressi. In meno”; 16/7: “Expo e le balle sui visitatori: ecco i numeri degli ingressi”; 17/7: “Expo, non mi stupisce l’insuccesso di visite”; 23/7: “Miraggio di Sala: visitatori di Expo? Il numero non si conosce per il caldo”; 4/8: “Expo continua a dare i numeri: mancano 500mila visitatori”; 5/8: “L’Expo dei record: il miliardo e mezzo che manca nei conti”.

Solo il generale agosto spegne l’ardore antiExpo del Fatto. A settembre, poi, la campagna si affloscia definitivamente per concludersi, lo scorso 16 ottobre, con un titolo emblematico e mesto: “Dicono: Expo è un successo. Ma è proprio vero?”.

Ora, è noto che cosa rappresentino i titoli in un giornale. Sono i “codici per accedere al resto dell’articolo” (Eco), esaltano le parole-chiave giuste, quelle che restano nella memoria diventando uno schema interpretativo del messaggio. Costituiscono insomma i famosi framing – l’equivalente mediatico delle scorciatoie cognitive (euristiche) – che orientano il lettore in una realtà sovraccarica di informazioni. Per questo – al di là delle ragioni politico-editoriali dell’accanimento antiExpo – la campagna del Fatto ci serve per capire quali euristiche vengono attivate in circostanze del genere. E quali bias mettono in moto.

IL PRINCIPIO DI FAMILIARITA’

“Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità” è una frase attribuita a Goebbels, ministro della propaganda nazista. Che l’abbia o no pronunciata, è certo che il cosiddetto mere-exposure effect, (effetto della mera esposizione) o  principio della familiarità, è sempre stato utilizzato nelle comunicazioni e nelle pubblicità della società di massa. Ha una sua brutalità: basta la banale, ossessiva ripetizione di un messaggio a lasciare una ‘traccia di memoria’ nella mente del consumatore e influenzarne il comportamento o  il giudizio. In questo senso, i 230 pezzi e le 74 prime pagine avranno convinto i lettori del Fatto che l’Expo è stato una sorta di crimine contro l’umanità. Poniamoci però un problema: se il Fatto avesse prodotto – per esempio – ogni 10 pezzi un articolo più oggettivo o addirittura favorevole all’Expo, probabilmente il lettore avrebbe mantenuto una generale posizione critica sull’evento, ma  con argomenti più razionali e ragionati. La critica all’Expo, o ad alcuni suoi aspetti, sarebbe stata meglio strutturata. Perché anche i lettori del Fatto non vivono più in epoca Goebbels, per fortuna, ed è finita la società di massa che viveva di bombardamenti pubblicitari a tappeto. I cittadini pensano – e vogliono pensare – sempre più con la loro testa.

I DUE SISTEMI

Anche se – come ci dice Daniel Kahneman – la nostra testa funziona in modo un po’ bizzarro. Soprattutto è piuttosto pigra, cerca di risparmiare energie cognitive. Sintetizzando: noi tutti siamo dotati – secondo lo psicologo cognitivo vincitore del Nobel per l’economia – di due sistemi di ragionamento diversi (sistema 1 e sistema 2), che raccolgono informazioni e rispondono in maniera differente a seconda delle circostanze. Il sistema 1 – che viene messo in moto in automatico, oppure in condizioni di stanchezza o di mancanza di interesse – ragiona in maniera istantanea; mentre il sistema 2 è il sistema del calcolo e dell’approfondimento. Il sistema 1 si lascia trascinare dalle informazioni immediatamente disponibili, dall’impatto emotivo e, nel caso che ci interessa, dai trucchi del framing giornalistico: è responsabile dell’associazione mentale “più articoli vedo sul tema, più quella campagna è vera”. L’informazione vive sostanzialmente di questi inganni, e usa il sistema 1 “avviato in default” dai lettori che hanno sempre meno  tempo e voglia di approfondire una notizia e di confrontarla con la realtà. Per cui accade che il dato numerico – che in condizioni sane è bollino di qualità di ogni inchiesta o indagine giornalistica – può diventare invece il passepartout della disinformazione: siamo talmente convinti della forza oggettiva dei numeri, da associarli immediatamente alla verità. Un qualunque dato sparato in un titolo, ci convince che l’articolo sia oro colato (e quindi possiamo risparmiarcene la lettura). Non è così. Quantomeno non sempre: il dato va sempre verificato, analizzato e comparato, e per questo c’è bisogno del sistema 2, che capisce e interpreta i numeri, ed è in grado di collegarli agli eventi. Solo il sistema 2 comprende le statistiche e smaschera gli inganni. Solo quando lo mettiamo in moto, riusciamo a distinguere il dato buono da quello cattivo.

L’ANCORAGGIO

Prendiamo l’euristica dei numeri per eccellenza, l’anchoring effect. Quando proviamo a stimare una quantità numerica su cui non abbiamo precedenti informazioni, siamo portati a farlo partendo dalle prime immediatamente disponibili. Il primo dato che riusciamo a ricavare diventa il punto fermo a partire dal quale completeremo la nostra ricerca (da qui, la metafora dell’ancora).

Avete presente la polemica sul numero degli ingressi e dei biglietti venduti per l’Expo? Il Fatto ha montato il “caso” il 24 maggio, tre settimane dopo l’apertura di Expo, annunciando il disastro delle presenze, usando come parametri di giudizio i biglietti dei tram venduti e la spazzatura raccolta (leggere per credere).  Neppure stime o proiezioni, piuttosto congetture, accostamenti parziali,  ipotesi e niente di più: su queste basi il Fatto ha costruito il suo ancoraggio e ha sviluppato una campagna durata fino agli inizi di agosto, quando si è dissolta nel nulla. Perché non ci vuole un matematico per capire che i ricavi dei biglietti di una manifestazione che dura 6 mesi vanno calcolati a evento concluso. Un po’ come i sondaggi e le elezioni, diciamo. Il punto è che, proprio come quando si vota, anche in questo caso il bias dell’ancoraggio resta impunito. Nessuno chiede conto ai sondaggisti delle fregnacce che ci propinano. Nessun lettore chiede conto al Fatto di articoli privi di ogni fondamento.

IL PIO DESIDERIO E IL SENNO DEL POI

Il punto è – per restare sempre nell’ambito che ci interessa –  che spesso si desidera a tal punto un evento, da mobilitare tutte le proprie risorse cognitive ed emotive in preparazione dello scenario immaginato. Il fenomeno è noto, si definisce “wishful thinking”. Nel mondo dell’informazione, il wishful thinking assume quasi sempre la forma della previsione catastrofica. Serve a giornalisti che furono d’assalto, illuminati commentatori, editorialisti e notisti politici per poter dire, a catastrofe avvenuta, “noi ve l’avevamo detto” (hindsight bias). E’ per questi motivi che la buona cronaca e il giornalismo d’inchiesta lasciano il posto all’irrazionalità e all’aria fritta. Intere paginate, invece di dedicarsi al racconto del presente in quanto tale, vengono riempite per descrivere un futuro presunto, apocalittico e angoscioso. L’informazione cede il passo alla faziosità, inocula inutili stress, e perde ogni credibilità. Poi – non temete – ad un certo punto arriva la realtà, che finisce sempre per prendersi le sue rivincite. E la vita continua.

(hanno collaborato Massimiliano Pennone e Nicolò Scarano)