Antonio, il tempo è scaduto

Oggi ho scritto sul Corriere del Mezzogiorno, a proposito di Bassolino e del bla bla napoletano.

In politica i tempi sono tutto. Prova ad assumere una posizione prima che l’opinione pubblica sia pronta ad accoglierla e, al meglio, sarai vox clamans (o clamantis, la questione è aperta) nel deserto. Fai “passare il tram senza prenderlo” (qui cito Albino Bacci, filosofo napoletano scomparso qualche anno fa) e rimarrai inesorabilmente a piedi (a Napoli anche per la cronica carenza di mezzi pubblici). Devi cogliere il momento giusto. Devi saper anticipare senza essere frettoloso. Sorprendere senza sconvolgere. Devi stare un passo avanti a chiunque. Non due. E, soprattutto, non puoi attardarti nel gregge (o nel branco famelico: nel caso, come paragone, funziona meglio).

Antonio Bassolino fu un maestro dei tempi nel 1993, quando diventò sindaco di Napoli spiazzando tutti: il suo partito allo sbando e la città decapitata. Nel ’97 le lancette della storia sembravano scorrere per lui, e fu rieletto per default. Cominciò a non gestire più il tempo nel ’98, traccheggiando al momento di entrare nel governo D’Alema. Ambiva a diventare l’alternativa a Prodi, ma non voleva usare la porta di servizio (e la concorrenza era più che agguerrita). Sbagliò ad accettare – dopo lunghi tentennamenti – l’incarico di ministro. Ma ancora di più sbagliò a tornarsene a Napoli un anno dopo. Il sottoscritto glielo disse in un salone di Palazzo Chigi: “Sarai costretto a fare il presidente della regione, l’anno prossimo”. “Non ci penso neppure” mi rispose. Sempre il sottoscritto (ahimé) dovette inseguirlo fin sotto casa nel gennaio del 2000, quando scappò via dal congresso del Lingotto, perché Veltroni voleva farlo intervenire in orari antelucani (sì, è lo stesso Veltroni che, dopo averlo evitato a piazza del Plebiscito nel 2008, lo ha riabilitato qualche giorno fa). Gli stavano confezionando il pacco-Regione, e lui fuggiva perché si sentiva braccato.

Nei dieci anni di Santa Lucia il tempo voltò definitivamente le spalle a Bassolino. Erano Prodi, Mastella, De Mita, D’Alema, Fassino, Bertinotti, Pecoraro Scanio a menare le danze. Lui fumava, si ribellava, si incazzava e si incurvava. Infine si piegava e gestiva, ingoiando rospo dopo rospo, chiuso in una fortezza dove il tempo non scorreva più. Avvelenato verso i romani, mentre i napoletani cominciavano ad avvelenarsi con lui.

Ora, passati gli anni dell’oblio, il Bassolino rigenerato è tornato in campo. Disintossicato, dolomitico, molto social (più nerd che geek). Ma il tempo non lo hai ritrovato, Antonio: il metronomo è arrugginito, senza corda, inceppato. Non hai sfruttato a dovere la genuina curiosità del primo passaparola tra i napoletani (ma è vero che torna?). Trascorri le tue giornate nella memoria del tempo perduto, alimentando la nostalgia dei vecchi militanti, il ricordo di glorie trascorse, la voglia di revanche dei tuoi sodali. L’attesa per le tue decisioni è diventata prima snervante, poi oziosa e stucchevole (e per fortuna la gente ha altro a cui pensare). Come la tua biografia – purtroppo – insegna, ancora una volta ti stai facendo risucchiare dal dibattito metafisico e senza tempo del Pd (mettete in fila le interviste dei suoi dirigenti: parole vuote di ogni significato e buone per tutti gli usi). Al punto che il ritmo lo scandiscono per te Paolucci e Cozzolino, Casillo e – se va bene – Guerini. Antonio, tocca ad un amico dirti che ormai il tempo è scaduto. Se vuoi riacciuffarlo in extremis, tenta subito. Altrimenti, lascia che lo facciano altri. Qualcosa di nuovo all’orizzonte spunterà.