Napoli, venerdì 3 giugno 2016. Cronachetta minima di una mattinata elettorale: reimmersione nel brodo primordiale che mi generò, nel quale continuo a nuotare con una certa dimestichezza.
Il comunicatore che è in me si indigna per tutto quello che non va prima della manifestazione. Intanto è un’impresa raggiungere il teatro: non ci sono indicazioni di sorta. Procediamo dentro la Mostra d’Oltremare a mucchietti sparsi, fidandoci di quelli che sono davanti, che però sono più smarriti di noi. Un passante finalmente si muove a pietà: “Cercate ‘ o tiatro ‘ro Pd? In fondo a sinistra”, così i mucchietti si rappattumano e insieme raggiungiamo la meta, cioè il teatro. Che si riconosce perché sono passate da un po’ le 10.30, orario fissato per l’inizio, ma la gente si affolla fuori: costume tipicamente napoletano. Per la verità anche dentro di gente ce n’è, e pure parecchia, e d’altro canto la responsabilità dell’irritante mancanza di puntualità non è degli indigeni: stamo tutti a aspetta’ l’arrivo del leader in elicottero. L’attesa si consumerà per un’ora e passa, che trascorre tra improbabili inviti a liberare i corridoi, incitamenti paesani a sventolare bandiere, saluti e baci tra reduci, vigilanze che non vigilano, vibranti discorsetti di una simpatica attrice che ripete: “Siamo 1500, siamo 1500!”, musiche che – come le luci – vanno e vengono. Insomma una sequela di errori, un manuale su come non si gestisce un’occasione pubblica. Ma di questo – sia chiaro – non faccio assolutamente colpa agli organizzatori: il mix di concitazione da chiusura di campagna e anarchismo partenopeo poteva combinare di peggio.
E poi, per completare il quadro disordinatamente eccitante, in sala c’è Antonio Bassolino. “Lo vado a salutare”, dico a mia moglie, che mi fulmina: “Sei senza vergogna, dopo quello che gli hai detto…”. Lui mi saluta freddamente, io balbetto qualcuno degli argomenti che ho usato contro le sue scelte, la risposta dell’uomo caliente è una vera filippica su tutto quello che non ho capito eccetera. Non controbatto perché non mi sembrerebbe civile, nel contesto dato. E poi capisco che c’è una cosa tra quelle che gli ho detto pubblicamente che lui proprio non manda giù: il paragone con gli altri, con i D’Alema&Bersani, con gli sfasciacarrozze rancorosi. “Questo lo capisco, Antonio. Ma mi sono incazzato con te proprio perché pensavo/penso che non sei come loro…”. Colgo l’attimo in cui si alza per salutare un tizio, gli strappo un abbraccio e un sorriso, e me ne torno al posto mio, accolto dalla sentenza reiterata di mia moglie: “Sei senza vergogna”.
Poi finalmente si comincia, e per fortuna si finisce pure con buona rapidità. Vigoroso e sciolto il discorso della Valente, misurato ma crozziano comme il faut l’intervento di De Luca, da indiscusso capobranco quello di Matteuccio nostro. Che potete discutere quanto volete, ma ha la stazza di chi sa quello che vuole e sa anche come realizzarlo.
All’uscita, siparietti comici in quantità industriali. Due su tutti. Un consigliere regionale mi si avvicina: “Senti Velardi, quando facesti l’assessore non mi piacevi proprio (certo, non gli davo mai i soldi che reclamava per sagre e feste di paese), ma quando scrivi sono d’accordo con te”. “Perfetto – gli rispondo -, non farò mai più l’assessore e con il tuo permesso continuerò a scrivere”. Un altro, dichiaratosi accanito lettore di questo blog, mi ferma e fa: “Vela’, po’ me si piaciut’ ‘ll’atu iuorno, quann’e fatt l’entorto, ‘o tuortano, comme se dice…”. “L’endorsement, vuoi dire…”. “Eh, chella cosa ‘lla, ‘lla ‘e ‘ritto bbuono”. In bocca al lupo a Valeria.