Per come l’ho capita io, a questo punto, dopo la direzione di ieri, le cose sono abbastanza chiare. Renzi non ha alcuna intenzione di mediare, su niente. Il referendum è l’appuntamento “cruciale”, il “decisivo passaggio” alla Cantona per “chiudere la stagione delle riforme e iniziare il futuro del paese”. Nessuna correzione dell’Italicum, sponsorizzata dal suo principale avversario interno. Concessioni zero all’esangue minoranza postcomunista di Speranza e Cuperlo. Se personalizzazione dell’appuntamento c’è, dipende da coloro che trasformano il referendum in un derby. Conclusione: c’è solo da andare in battaglia. E “chi ha paura faccia un altro mestiere”, è la sua chiusura piuttosto brusca.
Tutto si può immaginare tranne che Renzi non veda i pericoli di questa strategia. Ieri pomeriggio un politico mediamente “accorto” avrebbe messo la sordina alle polemiche, avrebbe lavorato per il massimo di unità interna, avrebbe quantomeno cercato di neutralizzare gli avversari. Lui no. Eppure, tra i suoi fans più accaniti come tra i suoi nemici giurati, il luogo comune di questa umidiccia estate è che a ottobre il popolo deciderà se tenere o no in vita il Presidente del Consiglio. E, al momento, sono in pochi a pensare che Matteo Renzi salverà la pelle. L’onda di un’opinione pubblica populista e antigovernativa, ferocemente critica o semplicemente antipatizzante nei confronti della persona, sembra pronta a travolgerlo.
Magari le cose non stanno così. Le cifre dei sondaggi sono ballerine, sottolineano l’alto numero di indecisi e la scarsa conoscenza dell’oggetto referendario. Ma non c’è dubbio che l’esito della partita è, al momento, quantomeno a rischio. Per cui la domanda sorge spontanea: perché Renzi insiste su un’impostazione così radicale dell’appuntamento?
Io una risposta ce l’ho. Renzi mette nel conto anche la sconfitta al referendum; non la vede personalmente come una tragedia.
Pensateci. E’ certamente vero che, se a ottobre prevarrà il sì, il capo del governo avrà di fronte a sé una strada piuttosto spianata; e che – invertito il flusso sfavorevole dell’opinione pubblica – il Pd potrà presentarsi alle elezioni politiche, magari anticipate, con un bilancio tutt’altro che malvagio della legislatura. A quel punto – se vincerà – potrà “iniziare il futuro”, come Renzi ha detto ieri. Ma sarà un futuro impervio più che impegnativo, fatto di Europa da ricostruire, terrorismo, immigrazione, banche disastrate e le altre cose belle che sappiamo. E senza gli spauracchi di Bersani e D’Alema da agitare, quando le cose andassero male. Se la dovrà piangere da solo.
Se invece vincerà il no, non c’è dubbio che il giorno dopo Renzi mollerà, senza pensarci un attimo. A risolvere il puzzle di un governo in un Parlamento già senza identità, con una legge elettorale azzoppata, una riforma costituzionale abortita, e tutti i problemi di cui sopra, ci penseranno altri. Qui metteteci i nomi che volete: Letta, Padoan, Franceschini. Qualunque sia lo sviluppo degli eventi, Matteo Renzi – fatta qualche autocritica di rito, lasciato passare sì e no qualche mese – riorganizzerà rapidamente le forze, raccontando, anche legittimamente, del vecchio sistema riemerso dalle tenebre e di una rivoluzione solo interrotta, da riprendere con maggiore lena. Avendo quaranta anni e una buona fetta di italiani – quelli che ci hanno creduto – dalla sua parte.
Vi sembra un ragionamento cinico, che guarda più ai disegni personali che alle cosiddette sorti del paese, sempre ipocritamente sbandierate da chiunque? Può darsi. Ma è anche politica, ragazzi. E di buon livello. Perché l’altra faccia di questa strategia renziana è che evita pantani e chiama ognuno ad assumersi le proprie responsabilità. Vedremo come finirà. Comunque ci sarà da ballare.