Non è solo per il vecchio adagio (“La storia non si fa con i se e i ma”) che la congiunzione “se” va usata con cautela. E’ che, soprattutto in questa campagna, le molte ipotetiche vengono usate come clave, e questo non aiuta la famosa “discussione sul merito” (spesso invocata dagli stessi che un minuto dopo si lanciano in accuse apocalittiche).
Neppure conta sapere chi ha cominciato per primo. “Se vince il sì, si profilano rischi per la democrazia”. “Se vince la carovana di D’Alema, tornano i vecchi arnesi di una volta”. “Se passa Renzi, siamo nelle mani di JP Morgan”. “Se vince il no, restiamo fermi altri 30 anni”. Sono tutte esagerazioni, approssimazioni, rozzezze propagandastiche. Comunque finisca, la democrazia non corre alcun rischio (è già malmessa di suo), il vecchio personale politico non tornerà (l’Italia, nel caso, scenderebbe in piazza tutta intera), non ci sono poteri forti in azione (magari se ne vedesse qualcuno all’orizzonte), il paese camminerà più lento o più veloce ma non si bloccherà, dal 5 dicembre in poi.
Però attenzione. Perché in queste ore rischiamo di passare dal “se” apocalittico alla totale anestetizzazione dell’appuntamento: è la tipica schizofrenia dell’informazione che produce questi salti. Ad esempio stamattina sul Corriere l’ottimo Ricky Levi ci dice che possiamo votare serenamente perché la Bce continuerà senza problemi la sua politica monetaria e che per i mercati non cambierà nulla, qualunque sia il risultato (il che contrasta con quello che gli stessi analisti sostengono esplicitamente). Poi, sul piano politico, fornisce addirittura una scaletta di lavoro a Mattarella in cinque punti, dovesse vincere il no (il tutto prescindendo dalla volontà dei diversi protagonisti in campo).
Consiglierei maggiore equilibrio. Il 4 dicembre è un appuntamento importante. Non si capirebbe, altrimenti, per quale motivo ne stiamo parlando da mesi e continueremo a farlo per altri 45 giorni almeno. Non si capirebbe la forte attenzione delle cancellerie del mondo intero per la scadenza.
Magari, cercando un punto d’accordo per tutti e tornando ai benedetti “se”, potremmo solo dire che se vince il sì, si va incontro ad un cambiamento (che, naturalmente, può avvenire in meglio o in peggio). Se vince il no, non succede niente. Continua tutto come prima. A domani.