Padri e figli

Ieri sera ho seguito un talk politico, il match Renzi-De Mita, dall’inizio alla fine: non mi succedeva da anni. L’ho trovato interessante, quasi da studiare e da sceneggiare, per come ha simbolicamente messo in scena il più classico dei conflitti: quello tra un padre e un figlio.

I due hanno cominciato parlando dell’Italia. La provenienza comune dalla stessa, grande famiglia politica ha consentito di incastonare il tema del conflitto (il referendum) in un contesto storico appropriato, gettando uno sguardo sommario su questo settantennio: sulla crescita, sui suoi limiti. Soporifera per i ritmi televisivi, la prima parte del talk ha definito con onestà il campo da gioco del confronto e l’obiettivo di fondo del figlio: cambiare rispetto al passato.

Al figlio scalpitante, il padre ha cercato in prima battuta di far fronte con una strategia comprensiva e inclusiva, dicendosi pronto a discutere di cambiamenti, quasi proteso verso un sì che non poteva pronunciare, finanche ammettendo di non conoscere granché della riforma di cui si discute. L’obiettivo era tenere il figlio dentro i confini del suo mondo, del mondo che lui conosce, cercando di impedire strappi.

A questo punto, il figlio ha fiutato il rischio del gioco avvolgente del padre, e l’ha rotto nell’unico modo poco simpatico ma possibile: attaccandolo direttamente, personalmente. Il problema non è (solo) il tuo mondo, sei tu. Con la tua storia, la tua biografia, la tua politica a vita, il tuo attaccamento al potere. In sintesi: vai rottamato perché quel mondo che non mi piace l’hai costruito tu.

Qui il padre ha capito che la rottura si era consumata. Si è offeso, sono volate parole grosse: la serata è diventata pesante e imbarazzante. Ed è scivolata piuttosto livida verso la conclusione, con il padre che insultava il figlio che tradisce, e il figlio a guardare altrove, perché di famiglia vuole costruirne una nuova.