Ieri Renato Brunetta ha detto: “Coloro che sostengono il No non sono una coalizione di governo ma un ampio arco a difesa della Costituzione”. Aggiungendo qualche ora dopo: “E poi questo è un voto per mandare a casa Renzi”. Quindi, mettendo in ordine il suo pensiero: se per il Sì c’è Renzi e per il No l'”ampio arco”; se il referendum lo vince il No; se un attimo dopo – come richiesto dal voto popolare – Renzi va a casa; insomma se questa è la sequenza degli eventi, la sera del 4 dicembre i vincenti dovrebbero essere chiamati a fare un governo. Cosa che negano di voler fare e a buon motivo, perché – pure disponendo teoricamente in Parlamento di una maggioranza molto larga – nessuno immagina che Brunetta, Salvini, Bersani e Di Maio possano formare insieme il 64simo governo della Repubblica. Ed è la nota ragione per la quale potrebbe nascere un bell’esecutivo tecnico, raccogliticcio e raffazzonato.
Ma, al di là di questa solare contraddizione e del rischio ingovernabilità cui il fronte del No espone il paese, è proprio la sua natura a mettere in evidenza un avvilente profilo culturale più che politico. L'”ampio arco” è unito solo per la funzione resistenziale che svolge. Resiste, cioè si oppone “a qualcuno o a qualcosa”, recitano i dizionari. Si arrocca per difendere una Costituzione finora cambiata 16 volte. Contrasta Renzi, senza proporre agli italiani un’alternativa. Accusa il Sì di dividere il paese, ma i suoi capi non possono neppure parlarsi. Resiste (legittimamente, s’intende) ad un cambiamento, ma non può proporne un altro: l’unica sua piattaforma comune è conservare, conservare, conservare. In fondo non ha futuro, il fronte del No, per sua stessa ammissione. Ed è questo – se ci pensate un attimo – che rimanda al paese un messaggio triste, disperato, depressivo.
Di contro, la cupa campagna del No sta facendo emergere la crescente identità del Sì. Qualcosa che va molto al di là del voto. Il Sì non è solo unito nell’obiettivo referendario. Può piacere oppure no, ma la sua piattaforma parla di futuro. Il Sì sottopone al voto degli italiani un programma di riforme, di maggiore efficienza, di velocizzazione e di semplificazione, di apertura e modernizzazione del paese. Un insieme di aspirazioni, idee, obiettivi che stanno crescendo in queste settimane nel dibattito pubblico, e vanno molto oltre il referendum.
In questo senso l’esito del voto ha un’importanza relativa. Qualche sciocco dirà che sto mettendo le mani avanti. Non è così, perché sono convinto che gli argomenti ariosi, positivi, di puro buonsenso del Sì prevarranno, il 4 dicembre. Non dovesse accadere, il giorno dopo il voto, passata l’eccitazione del momento, il fronte vincente del No sarà morto e sepolto. Mentre il grande partito del Sì – nuovo, aperto, accogliente – avrà molta, moltissima strada davanti a sé. Magari per il cambiamento dovremo aspettare ancora un po’. Quando arriverà sarà anche più limpido e bello.