Ve lo dico prima, poi da domani sera ve lo diranno tutti. Se vinciamo (e io penso che ce la possiamo fare) sarà perché Renzi avrà conquistato o anestetizzato una parte dell’elettorato populista, sollevando quei temi (costi della politica, stipendi, diminuzione dei parlamentari, etc…) che a noi non piacciono più di tanto o non piacciono affatto. Noi: cioè quell’opinione pubblica democratica e perbene, pensosa e rispettosa, interessata al funzionamento del sistema, alle ingegnerie istituzionali, a pesi e contrappesi, norme e diritti. Mentre quello che oggi i cittadini chiedono alla politica, anzi ai politici, è altro: meno privilegi, meno distanza, meno arroganza. Ci piaccia o no, è questa la linea di faglia del mondo in cui viviamo. Chi è sistema e chi ne è fuori. I potenti e gli esclusi. Noi e loro. I politici e la gente comune.
Da quando Renzi occupa la scena nazionale, la sua più grande preoccupazione è stata quella di ricomporre questa enorme rottura, o quantomeno evitare ulteriori smottamenti. Così si spiegano tutte le sue scelte: l’alternarsi di riforme sistemiche e misure una tantum, disintermediazioni e ricuciture con i corpi intermedi, diritti civili e mance sociali, semplificazioni comunicative, continui stop and go con burocrazie, magistratura, Europa, etc…. Un mix di politiche alte e basse, di strappi e rammendi, di concessioni e irrigidimenti. Sempre con un occhio rivolto al sistema da rimettere in moto, l’altro alla protesta populista da prosciugare.
Questo tentativo titanico domani avrà una verifica stringente, nella sua forma più radicale e crudele. Sì o No: nessuno spazio a giudizi articolati, differenziati, a possibili riesami. In un caso, con la vittoria del Sì, la ricomposizione della frattura verrà incoraggiata e Renzi si accrediterà come il solo leader occidentale in grado di far fronte allo scossone populista. Con il No, i due mondi si allontaneranno sempre più. E la zolla di terra su cui sono ammucchiati D’Alema, Bersani, Berlusconi, Monti, etc… scomparirà nel buco nero dell’antipolitica.