Ieri facevo da coach in un corso di formazione. Molti partecipanti – quasi duecento – in un albergo romano a discutere di comunicazione e leadership, con diversi panel di relatori qualificati e stimolanti. Ad un certo punto, verso fine serata, c’è un dibattito a più voci sulla comunicazione politica, e uno dei panelist rivolge parole livorose, gratuite e fuori contesto su Matteo Renzi politico e comunicatore. Una parte della platea annuisce, qualcuno applaude, il grosso tace.
Quand’è il mio turno, potrei rispondere sul tema ma non lo faccio. Non per il timore in sé dell’impopolarità: nel corso del pomeriggio di cose urticanti ne ho dette parecchie, senza lisciare il pelo a nessuno. Non replico – mi dico – perché discutere del renzismo che abbiamo visto finora all’opera è un tema del passato, poco interessante ai fini di quello che dovrà accadere.
Ripensando stamattina all’accaduto, mi viene da dire che io e il panelist livoroso abbiamo messo in scena ieri due facce della peggiore Italia. Quella di chi infieriva sui cadaveri di Mussolini e Claretta a piazzale Loreto: un’Italia vendicativa e vigliacca, ingrata e tribale. E quella, altrettanto vile, di chi il giorno dopo gira la faccia dall’altra parte, facendo finta di niente.
Ora: Renzi non è morto, e forse il panelist se ne accorgerà; io, la prossima volta che mi capiterà, non starò zitto. Fatto sta che siamo entrambi parte di un paese che – detto tra di noi – è abbastanza una merda.